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Fermenti di liberta’ a Francavilla all’indomani della liberazione


DSCN1275Nell’aprile del 1943, quando cominciarono a diffondersi confuse notizie sulla liberazione e sulla caduta del fascismo, anche a Francavilla un gruppo di giovani, tra cui ricordiamo Felice Di Nubila, Antonio De Minco, Vincenzo Perrone, Giuseppe Messuti cominciò ad interrogarsi sul da fare, con mille domande sui destini dell’Italia, sulla costruzione di uno stato finalmente libero, sul contributo possibile in una piccola realtà come quella della nostra cittadina.

Erano i primi fermenti libertari che iniziavano a diffondersi, come corrente magnetica, facendo proseliti in men che non si dica e dando spazio a quanti, nel lungo periodo del regime, avevano morso il freno, perché, com’è noto, ogni dissenso era negato.

Nascono, così, i primi tentativi di organizzazione della democrazia, si indicono le prime riunioni, si comincia a spiegare ad una moltitudine crescente di persone, il valore della libertà, dell’autodeterminazione. Compaiono le prime formazioni politiche: i vecchi compagni comunisti e socialisti escono allo scoperto diffondendo un po’ di materiale informativo che le federazioni di Potenza facevano arrivare; i popolari di don Sturzo cominciano ad organizzarsi con l’aiuto della Chiesa locale, non mancano i liberali che si rifanno all’ex Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti. Insomma, quel che darà vita al cosiddetto blocco costituzionale e che darà corpo al consenso verso la nuova forma istituzionale repubblicana, costituirà la maggioranza.

In questo contesto, il gruppo giovanile di cui facevo cenno è molto attivo e, trasversalmente ai nascenti partiti politici, alimenta un dibattito assai vivace, com’era giusto che fosse, per la costruzione di un nuovo avvenire, di un’alba nuova rigeneratrice.

Per integrare queste essenziali notizie, ho chiesto ed ottenuto il conforto di una testimonianza privilegiata da parte dell’ing. Felice Di Nubila, già dirigente d’azienda (gruppo ENI) con diversi incarichi fino alle funzioni di Amministratore Delegato di Società, Caposettore del Comparto Petrolifero e Presidente di Società collegate dal 1957 al 2000, autore di interessanti pubblicazioni storiche e di poesia, che provo a sintetizzare così come segue:

DSC_1862”la caduta di Mussolini nel luglio ’43 fu un trauma per noi giovani nati nel Ventennio fascista, educati secondo l’ideologia e la cultura del Fascismo, nella Scuola, nella Famiglia, nella Chiesa (si benedivano i gagliardetti, si giurava pubblicamente “nel nome di Dio e dell’Italia di obbedire agli ordini del Duce…”). Tutti indossavano, nelle Festività patriottiche e nelle adunate popolari, la divisa o la camicia nera. Avevamo, con quasi tutti gli italiani, applaudito la conquista dell’impero; avevamo, attraverso i bollettini di guerra, seguito le conquiste di una “guerra giusta”, accettando i sacrifici, le ferite, le morti dei nostri soldati che, fedeli al giuramento, combattevano in Africa, in Grecia e in Russia.

Non avevamo idea della libertà, della democrazia, dei diritti civili, della vera giustizia sociale.

Dopo la caduta del regime e dopo l’arrivo delle truppe americane, tutti ci ponevamo l’inevitabile domanda “ e ora cosa accadrà?”

Ci trovavamo tra coetanei e, nella incertezza dominante, temevamo il “nuovo” portato da soldati nemici, tutti visti, (grazie alla propaganda fascista) come invasori, aggressori ostili. Uno stato d’animo e una impotenza, a cui, come tanti altri italiani, cercavamo di reagire. Cominciammo a imparare i valori e le regole della democrazia, della giustizia sociale, della libertà di pensiero e di azione. Osservavamo, non passivamente, i modi in cui la società si riorganizzava: le nuove associazioni, i partiti, le iniziative per la libertà, la giustizia sociale, la solidarietà, la pace. Fu uno sforzo di apprendimento non facile specialmente quando osservavamo i comportamenti dei furbi, degli opportunisti, dei voltagabbana, liberi prestigiatori nell’uso della libertà.

DSC_1890Cercavamo la nostra strada nel nuovo con onesti sforzi di comprensione e di apprendimento dai maestri storici: da Giuseppe Mazzini, da Carlo Marx, da Giuseppe Toniolo, da Luigi Sturzo, da Piero Gobetti, da Antonio Gramsci, da Giacomo Matteotti: ancora il nuovo da lezioni antiche, come tante volte era accaduto nella Storia. E con noi, modesti intellettuali lucani, i dirigenti della politica e della società nella creazione della nuova Repubblica con tutte le caratteristiche positive e negative, che la storia registra e cerca con fatica di insegnarci, spesso inutilmente: “la storia insegna ma non ha scolari” aveva detto difatti Antonio Gramsci, pessimista come Sant’Agostino”.

L’auspicio è che, da queste riflessioni, i giovani possano trarre la motivazione a superare il “pessimismo della ragione”, con “l’ottimismo della volontà”!