La Pasqua

Calvario Francavilla in Sinni
Calvario Francavilla in Sinni

La Pasqua, qualsiasi sia il significato che a essa vogliamo attribuire, era ed è una festività che si aspetta con uno stato d’animo diverso e pieno di aspettative.

Antonio De Minco ci racconta in maniera viva e vibrante i preparativi pre pasquali riferiti sempre agli anni  ’30-’40, con la primavera che arrivava sempre puntuale con delle giornate radiose e la partecipazione dei fedeli alle funzioni sacre della settimana Santa. In particolare ricorda la tradizionale e rituale  processione del  venerdì Santo. C’era sicuramente la banda musicale del paese, ma non l’ha ricordata. Io ricordo benissimo che la banda cittadina partecipava alla processione suonando marce funebri che contribuivano a rattristare l’animo e a indurre i partecipanti a pensieri e a propositi da veri cristiani. Da molti anni  la banda musicale non partecipa alla processione del venerdì Santo. E’ un vero peccato che si è interrotta questa tradizione.

Come viene vissuta attualmente la festività della Pasqua è sotto gli occhi di tutti.

Da parte mia e dalla Redazione del Giornale auguri di BUONA PASQUA.

Antonio Fortunato

 

Dal libro “Francavilla sul Sinni” di Antonio De Minco

Pubblichiamo il capitolo

La Pasqua

Processione del Venerdì Santo
Processione del Venerdì Santo

 E in un’esplosione di colori e di gioia puntualmente arrivava la Pasqua. La patina dell’eterna quotidianità si dileguava dal volto e dallo spirito del francavillese. Così come nel ”sabato del villaggio”, I preparativi pre pasquali erano quelli che animavano quegli abitanti. Allo scadere della Quaresima, regolarmente ci si disponeva al periodo pasquale. Forse la primavera, che arrivava sempre puntualmente con delle giornate radiose, forse la speranza che infondeva la luce della nuova stagione o chissà per quale arcano mistero, lo spirito del paesano si ravvivava, si animava per incanto.

Arrivata la settimana Santa, l’uomo spaziava in una diversa dimensione di realtà. Tutti concordemente rinnovavano le antiche usanze e riti. I giovani con appositi strumenti di legno “raganelle”, piastre di legno su cui batteva un ferro ancorato agli estremi, diffondevano per la strada del paese una vivacità rumorosa ed allegra, mentre altri giovani “portatori”, trasportavano la legna, che il gruppo cercava e che i compaesani offrivano. Osservare la competizione che avveniva sia per suonare quegli arnesi, sia per il trasporto della legna raccolta, tra i ragazzi componenti di quei gruppi, era cosa veramente strabiliante.

L’evento permeava la coscienza di ognuno e tutti volevano sentirsi partecipi a quella rappresentazione. La Chiesa era il centro di raccolta e nodo di convegno di tutta la cittadinanza. Seguivano tutte le funzioni sacre che contraddistinguevano la settimana Santa. Spesso intervenivano monaci o preti predicatori esterni che, con una manifesta maestria, riuscivano a commuovere, a sconvolgere le coscienze di quanti ascoltavano le loro prediche. Il giovedì Santo, tanto atteso, arrivava con la tradizionale e secolare “cena degli apostoli”.

Una famiglia di contadini, dopo aver preparato tutti gli elementi necessari alla cena, discendeva dalla montagna portando con sé tutto quando occorreva a tale funzione.

Gli apostoli erano impersonate da persona “umili e poveri” del paese; che con grande generosità, all’uscita dalla Chiesa dispensavano piccole parti di quelle 13 cose, che avevano ricevuto. Assaggiare quegli alimenti: “piccillato”, ostia, frutta, baccalà eccetera… era atto dovuto secondo la devozione, ma soprattutto atto viscerale che scaturiva da profonda convinzione per gli aspetti sacri che rappresentavano. Il rito era affascinante e fortemente emotivo. Il sacerdote accompagnato dal sacrestano che, versando un po’ di acqua sul piede destro, nudo, dell’apostolo, veniva baciato dal sacerdote.

Immaginate la reazione e le impressioni dei bambini.

I piedi che, traslocando e mettevano cattivi odori, venivano baciati, anche se è solo sfiorati… era una vera meraviglia!

Di particolare rilievo tradizionale rituale era la processione, guidata da “zio Gian Battista”, un live coccola seguito tante vecchiette e pie donne. Cantelinando si recavano, attraverso le strade del paese, ai crocevia dove erano ubicate, fisse, delle croci di legno e là recitavano delle preghiere e cantavano delle Lodi al Signore.

Il venerdì Santo, due lunghe processioni, che prendevano origine dalla chiesa parrocchiale, secondo riti e tradizioni antichi, si snodavano lunghi due percorsi: una accompagnava il corpo di Gesù morto, l’altra quella della Madonna. Ad un certo punto, verso la cosiddetta “pianura” le due immagini ed i relativi cortei si incontravano. L’incontro era molto suggestivo e commovente; esso esaltava i sentimenti di una madre che incontra il corpo del figlio morto.

La commozione prendeva e traboccava da tutti i partecipanti. Le lacrime rigavano tutti visi degli accompagnatori: la cultura francavillese è stata sempre pregna di sentimentalismo. Formando poi, un unico corteo si raggiungeva il calvario. Una costruzione in muratura, composto da cinque nicchie, sul cui fondo erano fissate delle croci di legno. Poco più avanti, circa quattro o cinque metri, vi era sistemato un tronco di cono, sovrastato da un piccolo obelisco, recante in cima, una croce in ferro. Qui giunti il sacerdote pronunciava la sua predica, che a seconda della capacità oratoria, comunicare a tutti i presenti il senso di quei fatti biblici e storici. Verso la fine della settimana Santa, il sabato, bravi e disponibili giovani, dopo aver affastellata la legna, vi appiccavano il fuoco. Dopo la combustione e la benedizione del sacerdote, I concittadini prelevarono un po’ di brace, che trasportavano nelle proprie abitazioni. Quelle braci erano sacre.

 Antonio De Minco

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