S. Mauro Forte: lo sciopero del 1940, la rivolta dimenticata.

La vecchia Caserma
La vecchia Caserma

Il 30 e 31 marzo del 1940, in un piccolo comune della Basilicata,  fu scritta una bella pagina di storia popolare, tramandata come: “lo sciopero del ‘40”.  Fu una rivolta che vide protagonista la quasi totalità della popolazione di San Mauro Forte (un piccolo comune dell’entroterra lucano, in provincia di Matera), in pieno regime fascista e a prezzo di morti, feriti e carcere.

E’ dagli atti processuali e dalla narrazione orale che è stata riconsegnata la ricostruzione dei fatti che ebbero inizio nel pomeriggio del 30 Marzo, quando centinaia di contadini si riunirono in Piazza Caduti per la Patria per protestare  contro i gravi errori commessi dal Comune nell’accertamento dei  contributi agricoli unificati e delle oltre 500 cartelle con cifre esose che erano state recapitate alle famiglie.

Fù il Podestà ad essere individuato come il principale responsabile, quindi, una folla di centinaia di persone, verso le 16.30, invase gli Uffici Comunali, rintracciò gli avvisi non ancora notificati e li fecero a pezzi.

Alcuni, allo scopo di impedire che in Paese giungessero da Matera altre forze dell’ordine, tagliarono i fili della rete telegrafica e di quella telefonica, ma i carabinieri riuscirono ugualmente a comunicare con la vicina stazione dell’Arma di Stigliano, dalla quale furono inviati rinforzi. Nelle prime ore del 31 Marzo 1940 una gran folla, raccoltasi al suono delle campane di San Rocco, si ammassò davanti alla Caserma, reclamando a gran voce la liberazione dei trattenuti.

Le forze dell’ordine nel tentativo di evitare l’assalto al portone, si scontrarono con i manifestanti e alcuni di loro rimasero feriti. Per cui furono costretti a ritrarsi all’interno, da dove continuarono a sparare colpi di moschetto. Ma per bloccare l’assalto, fù deciso di rimettere in libertà i tredici fermati, e così la folla cominciò diradarsi.

Sul selciato, però, davanti alla caserma  giaceva a terra, in una pozza di sangue,  il settantenne Francesco Lavigna,  padre di uno dei fermati, ucciso da un colpo di arma da fuoco. Sante Magnante, gravemente ferito fù ricoverato d’urgenza all’ospedale civile di Matera, dove dopo alcuni giorni  morì per le lesioni riportate.

Vi furono, inoltre, altri quattro feriti dai colpi di arma da fuoco sparati durante le fasi più concitate dell’assalto alla caserma: Miccio Maria Domenica, Bubbico Salvatore, Malacarne Giuseppe e D’Eufemia Mariantonia.

Piazza-Caduti-allepoca-dei-fattiQuarantaquattro furono gli arrestati e centosessanta i processati.

Al termine dell’istruttoria del processo, il P.M. assolse la forza pubblica, dichiarando di non doversi procedere per le due uccisioni e per i quattro ferimenti per essere rimasti “ignoti gli autori di tali reati“, mentre rinviava a giudizio i contadini per “danneggiamento aggravato“, “violenza pubblica aggravata” e “lesioni volontarie al funzionario di PS, all’Ufficiale, ai sottufficiali e militari dell’Arma“, nonchè per “danneggiamento di fili telegrafici e telefonici“.

La stretta intesa fra i sanmauresi  contribuì a confondere le acque e non permettere l’identificazione dei capi della rivolta. Fu tessuta una fitta rete per creare alibi perfetti a tutti e scagionarli da ogni imputazione. Giunse poi la guerra che sospese l’attività giudiziaria e, dopo altre un anno dai fatti, fu concessa la libertà provvisoria ai 44 imputati che erano ancora in carcere.

Il verdetto finale fu emesso l’8 agosto 1948  e tutti i reati rientrarono in quelli estinti nell’amnistia.

Il regime fascista cercò di derubricare la rivolta, facendolo passare come un occasionale momento di violenza collettiva a causa di un fatto specifico e contingente. Mentre, le radici di quell’agitazione vanno ricercate nella diffusa contrarietà alla politica fascista che faceva gravare esclusivamente sui ceti meno abbienti i privilegi dei grandi proprietari terrieri.

I fatti successi a San Mauro Forte nel ’40 vanno ascritti, quindi, alla storia della nuova Italia che stava per nascere dalla lotta antifascista.

Una ricostruzione più completa di quei fatti del 1940 sarebbe necessaria e darebbe ad essi la dignità che meritano nella memoria collettiva di quella comunità per poterli ascrivere definitivamente nella propria storia, perché ne è stata sicuramente la pagina più importante ed epica.

Ancora oggi è ignoto il nome di chi ha ucciso e ferito materialmente, tanto meno quello di chi impartì ai militi lo sciagurato ordine di sparare ad altezza d’uomo. Una seria ricerca, mai avviata, potrebbe forse rivelarlo ancora, chissà.

La storia, per tutto questo, non andrebbe dimenticata. Perché come canta De Gregori: “La storia siamo noi, questo rumore che rompe il silenzio… la storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia…. La storia siamo noi che scriviamo le lettere,  siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere.  E poi la gente, (perchè è la gente che fa la storia) quando si tratta di scegliere e di andare, te la ritrovi tutta con gli occhi aperti, che sanno benissimo cosa fare. Quelli che hanno letto milioni di libri e quelli che non sanno nemmeno parlare, ed è per questo che la storia dà i brividi, perchè nessuno la può fermare. La storia siamo noi, siamo noi padri e figli”.

 Fonte: http://giornalemio.it/eventi/s-mauro-forte-lo-sciopero-del-1940-la-rivolta-dimenticata/

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