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Italia: un paese nell’angolo.


municipio Gli articoli di Luigi Viceconte e di Ernestino Calluori mi hanno dato lo spunto per un argomento su cui da tempo avrei voluto scrivere. Parto dal titolo: l’ Italia di oggi è un paese nell’angolo, avvitato in una crisi non solo economica e finanziaria. L’Italia, oggi, non ha una missione, una prospettiva, un’idea del suo futuro. La classe politica da un lato, noi cittadini dall’altra (dovremmo perdere il vizietto di scaricare tutto sulla politica, soprattutto quando le cose vanno male) non abbiamo un’idea del domani, nostro e dei nostri figli. Lo stato è indebitato fino al collo, ma non accettiamo che nel tempo si tiri un po’ indietro, riducendo le spese. Siamo consapevoli che un’eccessiva tassazione strangola il paese, ma non accettiamo l’equazione minori tasse solo in presenza di minori spese. E quindi, quel tribunale è indispensabile, quella comunità montana come fai a toglierla da quel territorio; e quell’ospedale (anche se non garantisce i servizi essenziali), ma scherzi, vitale; e quell’ufficio postale, manco a parlarne. Chiaro che il singolo ufficio, ospedale, tribunale non farebbe la differenza, ma se si moltiplicano queste istanze per decine e a volte centinaia di casi, capite come una piccola esigenza costa alla collettività un prezzo che nel lungo periodo non é sostenibile, a meno che… non inventi altre tasse! Oltre a tutto ciò, inizia a prevalere un senso di rassegnazione, un lamento che scorre da nord a sud, sulla stampa, nelle televisioni… c’è la crisi, non c’è lavoro, la politica non fa nulla. Io a questo punto mi chiedo: noi cosa stiamo facendo? Il paese non è Letta o Monti o Berlusconi o Renzi, ecc. Parafrasando De Gregori, l’Italia siamo noi! La ricostruzione del dopoguerra, l’italia del miracolo sono stati merito di milioni di persone che, avendo fame, si sono rimboccate le maniche per uscire dalla miseria; volevano il riscatto, lo hanno ottenuto. Loro, ce l’hanno fatta! Non solo De Gasperi e chi venne dopo di lui. Hanno voluto il benessere, la modernità, la dignità e a costo di enormi sacrifici li hanno raggiunti. Qual è la meta dell’Italia di oggi? Tenere il deficit sotto il 3%? Il fiscal compact? Un paese di specchiata moralità? Pensate che tutto ciò possa scaldare il cuore di un popolo? Secondo me, no. Inoltre circolano sempre più insistentemente teorie che mitizzano la decrescita felice, ma invece che felicità, provocano depressione, negatività, spingono a non fare. Infine, a differenza che negli anni ’50, oggi il benessere è mediamente acquisito, il patrimonio privato del paese è molto elevato. Così prevale un senso di “mesta soddisfazione”. Ho una casa di proprietà (oltre l’80% degli italiani); ho un reddito bassino, ma qualche soldino da parte; ho una rete familiare che mi aiuta, perché dovrei rischiare, perché mettermi in gioco. Guardate i consumi; non crescono più, ma neanche crollano. In ogni casa abbiamo almeno un computer, almeno due televisioni, almeno un cellulare (ormai smartphone) a testa; adesso abbiamo anche un tablet; spesso abbiamo anche la pay tv; spesso abbiamo il wifi, spesso due automobili. Qualcuno potrebbe obiettare: anche in America e in Germania è così, eppure lì si continua a fare, si cresce. Gli Usa sono un capitolo a parte, lì c’è una concezione della società diversa dalla nostra; lì persiste il mito del self made man, della libertà dallo stato (l’impronta del calvinismo è sempre molto forte); sono i primi e fanno di tutto per continuare ad esserlo. Attraggono cervelli, investono nel futuro perché credono nel futuro e così, dal nulla, nascono Google, Amazon, Apple, Microsoft, Facebook, ecc.. Oppure, pensate alla Cina: dopo la morte di Mao, Deng disse: il comunismo rimane come sistema politico, ma voi cittadini datevi da fare, puntate al progresso, arricchitevi. Da allora è iniziata una corsa che ha portato i cinesi ad essere la seconda potenza economica del mondo. Merito di Deng? Anche, ma soprattutto del desiderio di milioni di persone di sedersi al tavolo della modernità. Noi oggi rischiamo di uscire dal tavolo della modernità perché stiamo disperdendo le nostre energie e la nostra inventiva nel lamento e nel piagnisteo. Io credo che un popolo, proprio come un pugile, esce dall’angolo se spera di poter vincere l’incontro. Se in cuor suo pensa di aver perso, non ce la farà. L’italia di oggi, in cuor suo, pensa di aver perso. Solo noi, uomini e donne di ogni ceto e di ogni età, con il nostro spirito, con la voglia di rivalsa, potremo farla rialzare.