Antonio Fortunato
Francavilla ha conosciuto l’energia elettrica con ritardo rispetto agli altri paesi del circondario. Ce lo racconta Antonio De Minco. Infatti, dalle notizie in nostro possesso possiamo fare la seguente ricostruzione storica circa la diffusione dell’elettricità. Nel 1925 fu costruita la centrale elettrica dei fratelli Viceconte (Francesco, Felice, Ottorino, Giovanni ed altri) che sfruttava la forza dell’acqua del fiume Frida, nella contrada piano del mulino. L’energia elettrica prodotta veniva impiegata per l’illuminazione delle case del paese e di giorno azionava un mulino per macinare il grano. Oggi in via Porta Pia possiamo notare il fabbricato dove era allocato il mulino con la relativa cabina elettrica. Con la diffusione degli elettrodomestici, radio, e macchinari per gli artigiani, la piccola centrale non era più sufficiente a soddisfare le esigenze della popolazione. Pertanto, intorno agli anni ’50 la centrale elettrica dei fratelli Tancredi di Rotonda provvide alla fornitura di energia elettrica del nostro comune.
Questa centrale utilizzava l’acqua del fiume Mercure ed è ancora in funzione fornendo l’energia elettrica all’Enel.
Il mio ricordo va ad una grande scritta che campeggia all’interno dell’edificio: “IL MIGLIOR INSEGNAMENTO E’ L’ESEMPIO”, quando con le mie scolaresche facevamo visita a questo “centro del progresso” (oggi dove sono gli esempi da seguire?).
Il 27 novembre 1962 con un decreto legge del primo governo di centro sinistra fu nazionalizzata la produzione, la distribuzione e la vendita dell’energia elettrica.
Nacque così l’ENEL e con l’intervento dello Stato l’energia elettrica arrivò in tutte le case sparse delle frazioni del comune.
Pubblichiamo il ricordo di Antonio De Minco nella “luce elettrica e l’illuminazione”.
Dal libro di Antonio De Minco
“la luce elettrica – l’illuminazione”
L’energia elettrica è fonte di benessere, di sviluppo economico, culturale e sociale. Gli uomini primitivi al calar della notte, del buio, si rintanavano nelle grotte e lì giacevano fino all’alba del giorno successivo. Immaginiamo qual era lo stato mentale e culturale. In ogni centro di comunità sociali, in ogni agglomerato urbano, l’energia elettrica è elemento essenziale per la continuità dell’esistenza: il lavoro delle macchine azionate da energia elettrica, gli ambulatori medici, i laboratori degli artigiani, le fabbriche, le industrie… .
L’attività umana, in genere, ha bisogno dell’energia elettrica.
Nel piccolo nostro paese, a quei tempi, esisteva una piccola centrale elettrica, le cui turbine erano azionate dall’acqua.
Se la memoria non mi tradisce, quando il mulino per la macinatura del grano era ubicato alle porte del paese, questo era azionato da energia elettrica, che riceveva direttamente dalla centrale, i cui proprietari erano gli stessi. Quando poi, il mulino fu installato a fianco della centrale elettrica, la forza motrice era ricavata dall’uso dell’acqua, mentre le centrale elettrica forniva la energia per l’illuminazione del paese e della abitazioni, ma soltanto dalle ore 19, fino al mattino presto. L’acqua per alimentare quei sistemi era derivata dal fiume “Frida” e canalizzata fino alla centrale, attraverso terreni agricoli. Poiché il “Frida”, affluente del fiume Sinni, aveva un percorso con profilo longitudinale molto in pendenza, perché convogliava le acque di piccoli monti, in occasione di pioggia torrenziale, l’acqua tracimava, rompeva gli argini, obbedendo alla legge della violenza. In quelle particolari occasioni, la centrale, mancando l’elemento base, cessava la sua attività, con conseguente privazione dell’illuminazione.
Era il momento buono in cui ognuno faceva ritorno all’illuminazione originaria: lampade ad olio di oliva, lucerne a petrolio, lampade a gas acetilenico, candele di cera… .
La vita, in quei frangenti, assumeva un aspetto spettrale.
Intorno al focolare, la vita trascorreva monotona e priva di ogni spinta emotiva e fantasia. Per le strade qualche uomo attardato in incombenze personali, trascinava il suo passo pesante, scandito da scarponi chiodati (scarpe robuste, eseguite da calzolai locali e chiodati sul fondo, perché potessero durare a lungo). Quando quel rumore di passi si perdeva in lontananza, era come la speranza, che nutrita con fede, svanisce sotto i colpi della cruda realtà.
Le donne approfittavano per sferruzzare o si apprestavano a completare le calze, le maglie intime di lana o qualche pullover o maglioni per i membri della propria famiglia. Oppure potevi assistere a quelle scene di De Amicisiane memoria, in cui, attorno al fuoco scoppiettante, che diffondeva calore e luce, notavi il padre in un angolo estremo, con un libro in mano; la mamma all’altro estremo intenta a raccontare delle favole alla propria prole, ed i bambini in attesa che il buon Morfeo ascoltavano rapiti, quelle favole che alimentano la fanciullezza.
Quella realtà, secondo la moderna concezione della vita rappresentava una categoria infima di esistenza. E questo può essere vero, ma solo comparandola alla realtà odierna. Ieri era l’unica possibile e la più vera. Non ho memoria che quegli abitanti accusassero delle negatività. La sua struttura così com’era stata ordita, col passare de tempo e da quelle specifiche capacità e “mezzi tecnici” di quegli uomini rappresentava l’unica realtà possibile e vera.
Pur con i debiti confronti ad oggi, essa inglobava uomini il cui stato d’animo poteva raggiungere delle alte vette di felicità e di profonda serenità. D’altronde, tutte le valutazioni dei fatti sociali, hanno come base delle presunzioni soggettive.