Oreste Roberto Lanza
“ Voi sognate l’Italia e Vittorio Emanuele ma, purtroppo , sarete infelici “….
Cosi Francesco II, nell’abbandonare Napoli, si rivolse a un suo ministro di tendenza unionista.
Parole scritte in un piccolo libretto di 200 pagine condensate in appena sei capitoli, scritto dal calabrese Vincenzo Diego (edito da Valentina Porfidio) di Oriolo.
Scritto scorrevole, preciso, dinamico nella narrazione.
Un’analisi e sintesi meravigliosa che lascia il lettore estasiato di come si possano capire modi e tempi della storia del nostro.
Al centro della narrazione lucida dell’autore, un solo personaggio: Giuseppe Pignone del Carretto.
Principe d’Alessandria marchese di Oriolo e di Lupara, figlio di Carlo Pignone e Isabella Pignatelli.
Una famiglia, quella dei Pignone, con tradizioni e storia radicate ormai anche nel paese natio di Oriolo.
Tutto inizia nel lontano 1552 anno in cui finiva la potestà della casa Sanseverino a causa di “ Fellonia “ (nell’ordinamento feudale tradimento al proprio Re o al proprio signore) sul feudo di Oriolo che fu venduto da Filippo II al suo avo Marcello investendolo al tempo di marchese.
Da qui inizia il cammino della famiglia Pignone.
Da questa terra, Oriolo, dove dice l’autore, … ancora il silenzio gli fa da padrone…. nasce Giuseppe Pignone settimo principe di Alessandria ( del carretto ) e nono marchese di Oriolo che fu Sindaco di Napoli dal 27 gennaio 1857 al 7 settembre 1860.
L’autore con questo volumetto esordisce nella saggistica storica (sembra una sua passione …. e centra il suo discorrere tutto sui i momenti politici, amministrativi e sociali realizzati dal conterraneo Giuseppe Pignone nella Napoli dei Borboni.
Fu Ferdinando II (definito il Re Bomba per aver fatto bombardare Messina) a chiamarlo a corte il 27 gennaio del 1857 nominandolo a capo della Capitale Borbonica.
Giuseppe Pignone, successe al Sindaco Don Antonio Carafa di Noya.
Messo a capo della Deputazione della capitale del regno, si fece valere e dimostrò tutte le sue qualità di uomo del Sud, leale, onesto e vicino ai bisogni della gente.
Il libro è un contenitore di fatti e atti dell’attività di questo calabrese che alla fine, forse, si dovette piegare lasciando libero Garibaldi di entrare a Napoli il 7 settembre del 1860.
Fu come dice lo stesso autore . un atteggiamento civilmente responsabile . dopo che il Re era imbarcato per rifugiarsi a Gaeta
Ma fu veramente un atteggiamento civilmente responsabile ?
Anche lui si macchiò di Fellonia?
Lui che aveva giurato fedeltà alla monarchia Borbonica fece il passo indietro … solo perché non era attaccato alla poltrona. e solo per ricevere la riconoscenza di uno come Garibaldi che oggi da più parti viene messo in discussione ?
Qualcosa non è chiarita totalmente su Pignone dopo aver dato tanto alla Monarchia.
Dispiacerebbe se un domani un uomo del nostro Sud si scoprisse essere stato iscritto allo stesso club di Liborio Romano, all’epoca ministro degli interni dei Borboni, figura sprezzante del risorgimento italiano e inventore del trasformismo.
Proprio quello vigorosamente usato nell’Italia attuale.