Verità storica e verità processuale

Schermata-2013-10-24-alle-15.58.49Uno dei temi di discussione più ricorrenti, sollecitati da campagne mediatiche inesauribili, è oggi costituito dall’esito di alcuni processi che hanno visto radicali mutamenti nelle decisioni tra il primo ed il secondo grado di giudizio, ovvero tra il giudizio di appello e quello della Cassazione.

Sempre più spesso, anche in riunioni conviviali, quando si vorrebbe allontanare ogni riferimento alla propria attività professionale, mi capita di essere sollecitato ad esprimere il mio parere in merito ai numerosi casi di cronaca giudiziaria nei quali il contrasto tra sentenze pronunciate nei vari gradi di giudizio appare fuori da ogni logica, a tal punto incomprensibile da alimentare una forte sfiducia nel sistema Giustizia nel suo complesso, nella onestà intellettuale e preparazione tecnica dei magistrati, nel rispetto del principio costituzionale ostentato in ogni aula di giustizia con la scritta “La legge è uguale per tutti”.tribunale-aula

A ravvivare l’interesse verso questi argomenti, proprio recentemente, a proposito della radicale riforma da parte della Corte di Appello di Roma di una sentenza di condanna pronunciata in primo grado dal Tribunale, si sono accesi animati dibattiti che hanno coinvolto i massimi vertici istituzionali del Paese, con enorme risalto in tutti gli organi di informazione.

La questione si presenta di enorme complessità e pertanto, senza pretendere di fare definitiva chiarezza su tutte le numerose problematiche che caratterizzano la materia, nel tentativo di fornire un modesto contributo nella interpretazione dei principi della giurisdizione, a lungo praticati durante la mia esperienza di avvocato penalista, mi limiterò ad indicare alcuni capisaldi utili per fare luce sugli aspetti più significativi di decisioni ritenute, forse non a torto, dall’opinione pubblica assolutamente inconciliabili tra loro. Questa sommaria enunciazione deve necessariamente prendere le mosse dal pensiero di Cesare Beccaria e dalle teorie illuministiche espresse con limpida chiarezza nel suo libro “dei delitti e delle pene” : dall’illustre autore il garantismo penale (rectius, il processo) è inteso come nobile protezione dai soprusi di Stato, dagli abusi delle autorità, dalla violenza istituzionale. Tuttavia, perché il processo assolva questa nobile funzione, occorre che esso sia regolato da leggi in grado di consentire di giungere ad una decisione maturata attraverso un giusto processo che consenta “la garanzia del contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale (articolo 111 costituzione).

Altre norme fondamentali di rango costituzionale sono contenute negli articoli 24 e 27 della Carta, ove, tra l’altro, si qualifica sacro ed inviolabile il diritto alla difesa e si afferma il principio di civiltà secondo cui “la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Proprio questa norma contenuta nel secondo comma dell’articolo 27 della Costituzione deve indurre a superare le perplessità in merito alla possibile discrasia tra decisioni opposte intervenute nei vari gradi di giudizio: se i Padri costituenti hanno inteso salvaguardare la presunzione di innocenza sino alla sentenza definitiva e se alla sentenza definitiva si perviene solo dopo che siano esauriti tutti i gradi di giudizio ammessi dalla legge, nel rispetto del diritto sacro ed inviolabile della difesa, è lecito concludere che la totale o parziale difformità tra sentenze emesse nei diversi gradi del processo, rappresenta un aspetto fisiologico della giurisdizione. Nessuno scandalo quindi, se come nel caso sopra accennato o in casi analoghi, ad una sentenza di condanna fa seguito, in appello, una sentenza di assoluzione.

E viceversa.

Rappresenta invece una vera patologia, non tanto del processo, quanto piuttosto della fase ad esso antecedente, quella cioè delle indagini svolte dalla Pubblica Accusa (Pubblico Ministero) e dalla Polizia Giudiziaria, la mancata o non accurata attività di ricerca e di individuazione di prove idonee a sostenere in giudizio le tesi prospettate dall’accusa: naturale quindi che possa essere pronunciata una sentenza di assoluzione, al termine di un’ attenta analisi critica del materiale probatorio raccolto ove esso sia ritenuto non sufficiente ad affermare la penale responsabilità dell’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533 c.p.p.), ovviamente, fatto salvo il caso di provata mala fede o di grossolana ignoranza, se le sentenze rappresentano davvero la sintesi operata da uomini, vincolati solo dal rispetto della legge penale e delle regole processuali, non possono escludersi valutazioni diverse dei fatti-reato e delle loro configurazioni giuridiche nei singoli gradi del giudizio, in base all’esperienza, alla scienza, alla personalità ed alla cultura di ciascuno di essi.

Questo il difficile percorso attraverso il quale, con la motivazione della sentenza, si perviene alla ricostruzione della verità processuale di un fatto ed alla sua attribuzione a colui o a coloro che di esso sono individuati come responsabili per comportamenti collegati al reato con rapporto di causa ad effetto.

Non sempre tuttavia la verità processuale, quella cioè che deriva dal logico e coerente collegamento di una serie di indizi al fatto-reato, coincide con la verità storica. Solo in pochi casi, caratterizzati da un’immediata percezione della condotta antigiuridica ( es.: arresto in flagranza, possibilità di ottenere per mezzo di video riprese l’esatta dinamica di una vicenda criminale, ecc.) O dalla inoppugnabile confessione dell’imputato, si verifica una perfetta coincidenza

tra la verità storica e la sentenza, che del processo costituisce l’esito finale.

Negli altri casi, la verità deve essere invece ricostruita dal giudice, il cui sforzo per raggiungere una soluzione quando più prossima al reale accadimento è subordinato al contenuto degli atti di cui egli dispone e di quelli che egli stesso è riuscito, nei limiti in cui ciò gli è consentito, di acquisire.

Ritornando ora alla vicenda umana e processuale da cui questa riflessione ha tratto origine,, alla stregua di tutto quanto sin qui esposto, avanzando le più ampie riserve per la mancata conoscenza delle motivazioni della sentenza, sembra di poter concludere che il problema sollevato dai familiari della vittima e da un’opinione pubblica sottoposta quotidianamente al clamore mediatico sviluppatosi dopo la sentenza della Corte di Appello di Roma, deve essere visto in un’ottica diversa da quella comunemente considerata.

Invero, se gli organi dello Stato sono venuti meno al dovere di tutelare l’incolumità di soggetti ad essi affidati per ragioni di giustizia, ove non sia stato possibile individuare i responsabili degli atti che hanno concretizzato con la loro condotta l’evento luttuoso verificatosi, i familiari della vittima (già costituiti parti civili nel processo penale), non possono lamentare (ferma la loro facoltà di ricorrere in Cassazione) la ingiustizia della sentenza di appello: essi, piuttosto che esigere per la loro soddisfazione la eventuale condanna di soggetti estranei ai fatti ad essi attribuiti, potranno agire in sede civile per ottenere dalle competenti amministrazioni statuali (Ministero dell’Interno e/o della Giustizia) il giusto risarcimento dei danni conseguenti alle commissioni od omissioni che istituzionalmente ad esse spettava di evitare.

Proprio mentre mi accingo a spedire queste mie note, apprendo di un altro caso destinato ad eccitare ancora di più un’opinione pubblica già fortemente perplessa da quanto avviene nelle aule di Giustizia (sentenza di assoluzione della Corte di Appello dell’Aquila in merito alla condanna pronunciata in primo grado nei confronti degli imputati per omicidio colposo plurimo).

One thought on “Verità storica e verità processuale

  1. IN QUESTI ULTIMI DECENNI LA GIUSTIZIA DI LEGATA MOLTO AD ASPETTI FILOSOFICI E ACCADEMICI.: DOTTRINA, GIURISPRUDENZA E ALTRO.
    LA GIUSTIZIA E’ TALE SE ADERISCE A RISPOSTE PRATICHE, GIUSTE E UNIVOCHE.
    PER FARE QUESTO SI DEVE ADOTTARE IL PRINCIPIO CONCRETO DELLA SEMPLICITA’ CIOE’ : Se un Pubblico Ministero procedesse con più cautela sin dalla iscrizione nel Registro degli Indagati e poi nello svolgimento delle indagini e quindi nella richiesta di rinvio a giudizio
    E se poi il Giudice di primo grado fosse più attento ed equilibrato condannando se è veramente convinto, ma assolvendo se non lo è e motivando non a priori ma a posteriori
    Forse si ridurrebbe notevolmente il rischio di errore
    Si eviterebbe oltretutto di creare una aspettativa neile parti offese che in caso di riforma della sentenza in appello con la assoluzione degli imputati non genererebbe tutti gli insulti all’indirizzo della magistratura che ne ledono la autorevolezza.

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