Alba Gallo
In un cinema, in un bar, come nel tempo di un acuto, in un concerto. Arriva e spazza via tutto. Non guarda agende e ti coglie mentre, indaffarato, organizzi la vita, come se fossi padrone del tuo tempo. Anzi, ti sorride, beffarda, facendosi scherno di quei programmi che puntualmente ti manderà all’aria. Quel che di lei si sa è sempre il minuto 0,1. E’ il tempo dei posteri, dei sepolcri, nel racconto dei vivi. È quel che ti capita mentre sei impegnato a vivere.
La morte è per chi resta, non di chi va via: è quella moviola che sgrana, come in un rosario, una lunga ed insoluta serie di “perché”, quelli dal punto interrogativo facile, che sfocia nell’estuario delle non risposte.
È il fischio finale di un arbitro inflessibile a cui poco importa che tu abbia scalzato i difensori. Lui prende e decreta la fine dei giochi, mentre eri faccia a faccia col portiere, condannandoti ad un’istantanea che ferma l’attimo di quella traiettoria che sapevi sarebbe culminata in rete. È il pollice verso, il granello finale della clessidra che la vita ti concede, prima che tu abbia il tempo di rivoltarla. È la Cassazione del Tribunale della Natura.
Ma – la verità – è che quel che la morte è, non lo saprà mai nessuno. Conta come arrivi e come te ne vai. Dal primo vagito all’ultima parola che spendi. Ed è poca roba “che tu sia uomo, donna, Lucio Dalla o Sinatra”, che la tua Moleskine sia piena per i prossimi tre anni o solo sino a domattina.
E come non attende il tuo ultimo saluto, non la freghi se ti fai trovare incasinato o se l’indomani mattina hai prenotato dal dentista o dalla parrucchiera o se hai lasciato la pentola sul fuoco. È l’ultima chiamata al gate. E così non aspetta neanche che intoni l’acuto finale, che termini la strofa o accenni il ritornello. E ti ricorda che siamo vestigia di noi stessi, affidati in comodato d’uso alla vita.
La vita, quella parentesi di cui abbiamo l’illusione di essere padroni solo perché mettiamo il nome sul campanello di casa.
Stentatamente ti lascia il tempo di un congedo, di un biascicato ed umile “scusate”, a mo’ di cappello portato al cuore, di inchino finale dell’Artista al suo pubblico. Ed un’ultima, sorda, nota a chiudere il sipario, a scandire l’ultimo arrivederci.
Fonte: http://ilmetapontino.it/cultura-e-spettacoli/arte/14201-lumilta-dellultima-nota.html
Complimenti per l’articolo, scritto molto bene e …naturalmente un pensiero affettuoso a Mango. Nicola
Un articolo come un sospiro di melanconia per dire adesso zitti e ascoltiamo meglio le note del nostro tempo.affrettiamoci a lasciare al nostro prossimo una nota buona, un esempio indistruttibile, un filo di emozione vera.
oggi abbiamo perso un diamante senza accorgersi del suo valore perche intenti a raccogliere solo pietre.
Oh Lucania mia, che dolore porti nel tuo cuore per colui che è voluto restare vicino a te per cantarti le lodi di essere una bella donna.
oggi pur piegata su te stessa, Lucania mia, alzati e cammina la sua musica ci aiutera e ci dara sempre sollievo per le giornate di dolore e di felicità
Brigante Pino sempre con noi