Antonio Fortunato
Pubblichiamo dai ricordi di Antonio De Minco “La vigilia di Natale” senza alcun commento perché ognuno lo vive come può e come crede. Ma l’invito che facciamo è quello di voler raccogliere l’insegnamento della semplicità dell’armonia e della gioia che regnava in quelle famiglie.
E riportando anche le parole del Santo Padre, deve essere anche un momento di donare e di essere solidali verso i più bisognosi.
Auguri personali e della redazione per un buon Natale e sereno e felice anno nuovo.
Antonio Fortunato
La vigilia di Natale.
Precedevano la vigilia di Natale, giorni di fervidi preparativi. Il padre con il suo impegno assiduo a procurare le materie, di tutto quando occorreva per la solennizzazione di tale giorno; la madre, accudita da figlie di ogni età, programmava ed elaborava tutto quello che rendeva piacevole il Santo Natale: il pranzo, la preparazione di pastelle, dolci, “cannaricoli”, “cicerata”, rosette crespelle…
L’atmosfera era lieta e festosa.
Finalmente arrivava il mattino di quella tanta agognata vigilia. Di buonora, la mamma e le figlie, allertata dal trillio di qualche sveglietta, discendevano al piano inferiore, dove era collocato il focolare. Qui giunte, si metteva in moto un processo stupendo di collaborazione. La mamma, dirigendo, assumeva la parte principale, cioè l’artefice di tutto quello che doveva subire trasformazione, elaborazione, realizzazione. La figlia più giovane, in quelle famiglie numerose, procedeva a dissotterrare il fuoco dalle ceneri che, immancabilmente ogni sera, prima di andare a letto, la mamma copriva perché, per quello elemento, non vi fosse soluzione di continuità e forse anche per ragioni di economia.
Ravvivato quell’elemento base, la mamma, dopo aver disposto dell’olio nella padella e sistemato il contenitore con la pasta cresciuta, si accingeva, con grande abilità, a dare forma a quella pasta, tanto da ricavarne pastette di ottima forma e qualità. Le figlie certamente si trovavano in uno stato di grazia eccezionale: assimilavano quelle esperienze, gustavano quei prodotti in un momento di letizia.
Il fuoco scoppiettante, il suo calore, le monachelle svirgolanti nell’aria, la pasta trasformata in forme dorate, il posto che era centro (focolare) della struttura familiare, quei membri operanti e senza scontri verbali, tutto sembrava agire sotto la rigida legge dell’armonia e della gioia, che in quel preciso momento si trasformava in concretezza. L’aria generata in quell’ambiente ed in quel particolare momento investiva l’arrivo degli altri componenti la famiglia, che ne subivano il fascino e l’armonia.
Se poi, miracolosamente dal cielo veniva giù dei bianchi fiocchi di neve, quella vigilia assumeva l’aspetto della “cosa più bella e meravigliosa” che il Santo Natale poteva elargire.
Gli zampognari facevano la loro immancabile comparsa, in quella settimana. Coperti da pelli di montone, calzavano scarpe di gomma di vecchi copertoni, allacciate ai polpacci e si coprivano il capo con caratteristici cappelli e le spalle, con neri mantelli a ruota.
In cerca di oboli, percorrevano le strade del paese, diffondendo con le loro zampogne, le tradizionali nenie natalizie. Essi calavano dai monti in quella festosa ricorrenza e, con trepidante attesa, i bambini gli accoglievano con infinita gioia.
Che miscuglio di interessi e di sentimenti! I bambini e gli adulti avvertivano, con l’arrivo degli zampognari, la magia e l’allegria della festa. Gli zampognari, invece, che, per consuetudine svolgevano il mestiere di guardiani di greggi, arrivavano nel piccolo centro con la speranza in cuore di racimolare qualche soldo, quell’antico metallo che per convenzione, ha valore e potere per acquistare un qualsiasi bene. Eppure in quella realtà, che nel momento non dava luogo a nessuna considerazione, i suoi meccanismi portavano a compimento eventi e fatti che realizzavano quella esistenza.
Antonio De Minco