Mattia Arleo
Il tema relativo alla valenza delle unioni tra persone dello stesso sesso e la possibile equiparazione di queste con l’istituto del matrimonio è venuto in rilievo negli ultimi mesi, in seguito alla presentazione di una proposta di legge sui diritti civili da parte della senatrice Cirinnà.
Ritengo che un cittadino – soprattutto se cittadino cattolico – debba esprimere la sua opinione sul punto e impegnarsi nel portarla avanti, senza lasciarsi abbattere dalle eventuali sconfitte o incomprensioni.
Il matrimonio è, per il nostro ordinamento giuridico, un atto di autonomia privata. È stata già da tempo abbandonata quella visione “pubblicistica” dell’atto, secondo la quale in esso era ravvisabile l’attuazione di un interesse dello Stato.
Nonostante ciò, non me la sento di negare la valenza pubblicistica dell’istituto in esame che, inevitabilmente, interessa la collettività tutta. Non si può infatti affermare che il matrimonio abbia lo stesso valore di un qualsiasi altro negozio giuridico. Credo che nessuno di noi se la sentirebbe di paragonare il matrimonio ad un contratto di compravendita.
L’art. 29 della nostra Costituzione recita: << La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare >>.
Questa norma contiene un richiamo espresso a quella posizione di privilegio e di tutela primaria della famiglia legittima all’interno del nostro ordinamento. Per famiglia legittima si intende la famiglia fondata sul matrimonio. In questi giorni molti si sono interrogati su che cosa debba intendersi per << famiglia naturale >>. Ritengo che sulla questione la nostra Carta Costituzionale sia abbastanza chiara: la famiglia naturale è quella basata sul matrimonio. Questo non perché l’autore della norma fosse un cattolico intransigente, ma perché il matrimonio è l’istituto giuridico che consente di realizzare quella eguaglianza morale e giuridica dei coniugi al fine di garantire l’unità familiare. È quindi attraverso il matrimonio che i coniugi vengono equiparati moralmente e giuridicamente ed è solo grazie al matrimonio che si può perseguire l’ulteriore fine della unità familiare. È dunque inutile sforzarsi di rintracciare nella natura il modello naturale di famiglia. Esso è da rintracciare inequivocabilmente nella famiglia fondata sul matrimonio, perché solo la famiglia fondata sul matrimonio è una famiglia in cui si ha piena equiparazione morale e giuridica dei coniugi.
Il matrimonio nasce come istituto giuridico già con il diritto romano. Il termine matrimonio deriva dal latino << mater >> (madre) e << munus >> (compito). Il << matrimonium >>, inteso quale cura della casa e della prole, era un compito della madre. Accanto ad esso si trovava il << patrimonium >> da << pater >> (padre) e << munus >> (compito), che invece rappresentava il compito del padre di sostenere materialmente ed economicamente la famiglia.
È innegabile che dal vincolo matrimoniale derivino diritti e doveri in capo a ciascuno dei coniugi, in virtù dei quali si garantisce l’unità della famiglia.
Esso è dunque sin dall’epoca antica << un’unione fisica, morale e legale dell’uomo (marito) e della donna (moglie) in completa comunità di vita, al fine di fondare la famiglia >> e garantirne l’unità.
Il diritto canonico intende per matrimonio << il patto con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e all’educazione della prole, elevato da Cristo alla dignità di sacramento >>.
I sacramenti sono per la Chiesa manifestazioni della grazia di Dio la quale viene donata all’uomo proprio attraverso di essi. Per quale motivo il sacramento del matrimonio è così rilevante?
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al paragrafo 1602 ci dice: << La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell’uomo e della donna ad immagine e somiglianza di Dio e si chiude con la visione delle « nozze dell’Agnello » (Ap 19,9). Da un capo all’altro la Scrittura parla del Matrimonio e del suo mistero, della sua istituzione e del senso che Dio gli ha dato, della sua origine e del suo fine, delle sue diverse realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento « nel Signore » (1 Cor 7,39), nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa >>. Il matrimonio è dunque un mistero (“μυστήριον”: parola greca corrispondente al termine latino “sacramentum”) istituito da Dio e a cui Dio dà senso lungo la storia. Prosegue il Catechismo della Chiesa Cattolica: << L’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale […]. Dio stesso è l’autore del matrimonio. La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa chiarezza, esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell’unione matrimoniale. La salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare >> . Il matrimonio è dunque il mistero (sacramentum) attraverso cui l’uomo percepisce in modo immediato e diretto l’Amore di Dio. È un donarsi, senza egoismi e senza riserve, proprio come Dio si è donato all’uomo. Non a caso il Catechismo della Chiesa Cattolica recita al paragrafo 1604: << Dio, che ha creato l’uomo per amore, lo ha anche chiamato all’amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l’uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio che “ è amore” (1 Gv 4,8.16). Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un’immagine dell’amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l’uomo. È cosa buona, molto buona, agli occhi del Creatore. E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e a realizzarsi nell’opera comune della custodia della creazione: « Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” » (Gn 1,28) >>. Ecco dunque il fondamento di ciò che noi cattolici qualifichiamo come matrimonio. Al di là delle pieghe che esso ha assunto in altri paesi, noi siamo e resteremo fedeli a tale visione del matrimonio, inteso quale mistero attraverso il quale << Dio che è Amore >> ci rappresenta il suo Amore per noi. Inoltre quell’uguaglianza morale e giuridica richiamata dalla nostra Carta Costituzionale la rintracciamo già nella Sacra Scrittura. Stabilisce il Catechismo della Chiesa Cattolica al paragrafo 1605: << Che l’uomo e la donna siano creati l’uno per l’altro, lo afferma la Sacra Scrittura: « Non è bene che l’uomo sia solo » (Gn 2,18). La donna, « carne della sua carne », sua eguale, del tutto prossima a lui, gli è donata da Dio come « aiuto », rappresentando così Dio dal quale viene il nostro aiuto. « Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2,24). Che ciò significhi un’unità indefettibile delle loro due esistenze, il Signore stesso lo mostra ricordando quale sia stato, « da principio », il disegno del Creatore: « Così che non sono più due, ma una carne sola (Mt 19,6) >>. Questa concezione che noi cattolici adottiamo in riferimento al matrimonio, non deve rappresentare la pretesa per poterci accusare di oscurantismo in riferimento al tema delle unioni civili. Siamo pienamente consapevoli che, seppure non vi sia ancora un riconoscimento formale, relazioni tra individui dello stesso sesso si svolgono già sul piano di fatto. Sarebbe inutile una battaglia contro qualcosa che di fatto esiste ed invoca tutela. Ciò che il mondo cattolico chiede è l’attribuzione di un ordine e una forma giuridica ai diritti delle persone che compongono coppie dello stesso sesso, differenziati e non sovrapposti né sovrapponibili all’istituto del matrimonio, anche e soprattutto in riferimento a quelli che sono gli istituti che regolano i rapporti tra genitori e figli. Il Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana Mons. Nunzio Galantino ha sottolineato a riguardo: << quello delle unioni civili è inevitabilmente un tema che sta toccando la politica, mi piacerebbe che venisse affrontato con serietà e non in maniera ideologica. Lo Stato deve fare il suo mestiere e garantire ai singoli i propri diritti ma questo non può andare a scapito della famiglia composta da padre, madre e figli. Bisogna cercare di non fare confusione cercando di annacquare la realtà della famiglia così come la Costituzione la presenta. La famiglia non è un bene della Chiesa ma della società. E la società, quando è seria, i suoi beni li deve custodire >>. Un confronto serio e non ideologico. Questa è la soluzione migliore per dare importanza a tutti e tutelare al meglio tutti. Contro questa visione si è posto l’atteggiamento del Governo che ha cercato più che di tutelare tutti, di accontentare molti. Utilizzare una tematica come quella sui diritti civili per scopi elettorali è la cosa più spregevole che possa esistere, soprattutto quando sono in gioco i diritti delle persone e, in particolare, dei bambini.