Beatrice Ciminelli

Milan Kundera parla della nostalgia nel libro “L’ignoranza” e racconta come questa parola sia diversa da lingua a lingua, anche nei suoi significati, nelle sue sfumature. Nostalgia viene dalle parole greche nóstos e álgos: ritorno e sofferenza. La sofferenza di non poter più tornare. Dunque la sofferenza di un mondo che non c’è, di persone lontane, di luoghi che non vedi da anni, di ritorni che appaiono impossibili. In certi Paesi si distingue tra nostalgia vera e propria e rimpianto della propria terra; gli islandesi, che hanno un lingua antichissima, usano söknudur per nostalgia e heimfra, per il rimpianto. I portoghesi la chiamano saudade, gli spagnoli añoranza, dal catalano enyorar, che a sua volta deriva dal latino ignorare, mentre per i tedeschi è sehnsucht, «desiderio di ciò che è assente».
Nostalgia è non poter tornare e non poter sapere. La mancanza delle propria terra, dei propri luoghi, dell’amore, e ancora la distanza, il non poter sapere, il non poter vedere. Le nostalgie di Ulisse, il più grande avventuriero di tutti i tempi, ma soprattutto l’uomo di nóstos e di álgos.

Agli inizi del secolo scorso, esploratori e scrittori coniarono l’espressione “mal d’Africa” per dare un nome a quella strana sensazione, improvvisa, che ti faceva rimpiangere il continente africano, anche se ci eri stato una sola volta e per poco: come un richiamo, ancestrale, arcaico, come una malattia priva di cure e alle volte irresistibile. Il luogo originario, il punto lontano da tutto dove hai bisogno di tornare è un tema fondante da sempre. La nostalgia diventa quasi uno spazio sacro, un rito di lontananza, nel nome dell’añoranza, dell’ignoranza. Solo che ormai nóstos e álgos hanno perso il loro valore. Non c’è più ritorno, non c’è più lontananza, non c’è più immaginazione.
Il futuro è molto orientato verso un nuovo modo di indossare la nostalgia, per tenere lontana l’añoranza. C’è una vicinanza artificiale di immagini, sensazioni ed emozioni altrui che puoi indossare e sentire con te. Un passo ulteriore per prosciugare quel grande mare dove navigò Ulisse, il mare che gli restituì la via del ritorno. Se si torna per poter raccontare, allora lo stare lontani permette di ricordare. Oggi non ci sono partenze e ritorni, c’è un tempo misto, ibrido che non consente ricordi che non siano memoria di un presente indifferente, dove esserci o mancare è solo una connessione accesa o spenta, che cancella sogni e nostalgie.