Mario Di Nubila - già Senatore della Repubblica -
Per iniziativa del Comitato della “Società Dante Alighieri” di Potenza,ben rappresentata dalla Presidente Prof. Maria Pennacchia Vertone, si è svolto in Potenza un interessante incontro su “Le Donne e la Scrittura”, che ha avuto quali protagonisti, oltre che la Presidente Pennacchia, la Prof. Anna Maria Basso, Dirigente scolastico dell’Istituto “G.Leopardi” di Potenza, autrice della silloge “Quel palpito d’altrove”, la Prof. Anna Rivelli, docente di Lettere presso il Liceo Scientifico “Galilei” di Potenza, autrice e presentatrice del romanzo “Se ci sono due alberi”; coordinatrice della “conversazione” la Prof. Lorenza Colicigno, scrittrice e pubblicista. Molto interessante la lettura di poesie, di brani da parte delle autrici, con commenti e partecipazione da parte dei numerosi intervenuti. Parlare di “scrittura della donna”, di certo non ci si voleva riferire a problemi di “alfabetismo strumentale grafologico” ma alla libertà, alla apertura nel mondo letterario, sociale, sociologico e politico, che tante scrittrici hanno efficacemente svolto e svolgono. La libertà di scrivere e comunicare liberamente è conquista della donna nei tempi moderni, se si pensa che fino alla metà del XVII secolo le donne affidavano i loro pensieri a scritti autobiografici, a diari riservati. Esse scrivevano, e potevano scrivere, solo di nascosto, privatamente e solo alla fine dell’ 800 riescono a scrivere, a commentare ed avere attenzione nel mondo editoriale. E quando la donna “diventa” scrittrice è sottoposta,in quanto donna, a censure, che riflettono pregiudizi a motivo dell’appartenenza sessuale La sua esclusione da forme di partecipazione sociale, collettiva, politica significava subordinazione all’uomo, alle regole della tradizione ed anche limiti verso forme linguistiche e letterarie. Eppure il punto di vista della donna era, ed è, arricchimento del pensiero letterario e della cultura della comunicazione. La cultura ottocentesca era dominata dall’idea, secondo la quale la donna non avesse bisogno di istruzione come gli uomini, in quanto i suoi compiti si dovessero limitare al governo della casa ed alla cura dei figli, quindi alla esclusiva dedizione alla famiglia. Le bambine potevano accedere ad un minimo di scolarità, utile appena per acquisire capacità minimali del leggere, dello scrivere e del far di conto. C’era, quindi, una bassa ed inadeguata scolarizzazione. La Legge Casati del 1859 limitava l’obbligo scolastico alla frequenza di due anni per le bambine, portato a tre anni dalla Legge Coppino del 1877. Le prime Costituzioni italiane non contemplavano l’essere umano di sesso femminile e l’uso del maschile nel “decalogo” del godimento dei diritti civili e politici ignorava del tutto il “femminile”. Senza voler fare incursioni nei codici pre-unitari,con la legge del 20-3-1865, promulgata da Vittorio Emanuele II è codificato che “non sono elettori né eleggibili gli analfabeti, gli interdetti, i falliti, i condannati, le donne. Tuttavia, i condannati, se riabilitati, possono essere elettori ed eleggibili, le donne MAI” Ed il processo di riconoscimenti e di attribuzioni di diritti alle donne è lunghissimo: in materia di cittadinanza (1912), di protezione della maternità (1902), di riconoscimento della capacità giuridica (1919), di accesso al Pubblico Impiego ed alla Magistratura e alla Diplomazia (1963). E che dire del riconoscimento alle donne del diritto alla partecipazione alla vita delle Istituzioni attraverso l’esercizio dell’elettorato amministrativo e politico. Beffarda la legge del 22-11-1925 n.2125, con la quale si riconosceva alle donne l’ammissione all’elettorato amministrativo, mentre, intanto, il governo fascista nel 1924 aveva soppresso libere elezioni! Ed il lungo percorso di divieti, di discriminazioni assurde ed innaturali contro le donne, si concludeva solo con il ritorno alla vita democratica del nostro Paese nel 1945. Infatti il decreto luogotenenziale del 1-2-1945 n.23 attribuiva alle donne il diritto all’elettorale amministrativo ed il 2 giugno 1946, finalmente, le donne furono ammesse alla elezione dell’Assemblea Costituente ed al referendum istituzionale. Ma certamente la consacrazione solenne dell’assoluta parità dei sessi avverrà con l’approvazione della Costituzione Repubblicana, che all’art.3 proclama la parità assoluta dei sessi ed il divieto di ogni discriminazione. La dignità costituzionale del principio dell’assoluta eguaglianza di genere, è riconoscimento – non attribuzione – e diventa fondamento di ogni espressione di libertà e, naturalmente, anche del modo di comunicare del mondo femminile. Il romanzo, la poesia ed altri mezzi espressivi femminili comunicano con un proprio stile, con caratteristiche proprie, che costituiscono un vero e proprio “linguaggio femminile. La condizione storica e sociale della donna, ma soprattutto quella biologica ha caratterizzato, e caratterizza, ogni sua forma espressiva. Il linguaggio femminile esprime prese di posizione importanti sulla questione femminile e, spesso, ha senso di forte denunzia. La difficile posizione della donna trova nella “scrittura femminile” la consapevolezza della propria dignità verso le istituzioni e verso una cultura, non sempre solo di basso maschilismo, di un radicamento di tradizioni culturali, sedimentate nel tempo e nella storia, e che è solo memoria. Oggi esaltiamo lo stato di diritto, che garantisce a tutti i suoi cittadini l’esercizio dei propri diritti, riconosciuti sulla base del rapporto di cittadinanza e della loro naturalità, quindi appartenenza, senza alcun limite derivante da elementi antropologici o biologici. E’ l’affermazione, solenne, del patto di cittadinanza attiva nel nostro Stato, non solo proclamata, ma consolidata anche nella coscienza sociale e culturale.