Mario Di Nubila - già Senatore della Repubblica -
Il Giorno della Memoria “Considerare che questo è stato“
Fare memoria, ed ascriverlo a “ricorrenza di etica universale” e “considerare che questo è stato”, come scrisse Primo Levi, che ha visto e sofferto le atrocità di Auschwitz, sopravvissuto a quegli orrori, dandosi il compito di raccontarli. E questo fu, ed è, il senso della legge, approvata dal Parlamento italiano, e promulgata dal Presidente Ciampi il 20 luglio 2000, con la quale “la Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Con la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite 60/7 del 24-1-2005 si stabilì di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio, perché in quel giorno del 1945 fu liberato il campo di concentramento-lager di Auschwwitz-Birkenau. La macchina di morte orrendamente concepita e realizzata dalla Germania nazista potrebbe configurarsi in freddi numeri: 6 milioni di ebrei morti nei lager e negli annientamenti di massa orribilmente consumati dai nazisti e da loro alleati e collaborazionisti; almeno 300.000 zingari di etnia Rom nei campi di annientamento; 300.000 soggetti affetti da disabilità mentali o fisiche “eliminati; 100. 000 oppositori politici del regime nazista uccisi; così per 25.000 omosessuali e 5.000 testimoni di Geova; numeri spesso tragicamente approssimativi per difetto. Ma la freddezza, pur orrenda, dei numeri, è ancora inadeguata a “spiegare” la tragicità di quella “storia”, che è stato il razzismo nazista, che ha avuto, anche in Italia, una fase di collateralità, con la svolta antisemita per effetto delle leggi fasciste del 1938, che stabilirono la completa emarginazione degli ebrei dalla vita civile italiana, mentre Mussolini decideva di unirsi ad Hitler nella aggressione alle democrazie europee. La svolta antisemita del 1938 deriva –ha sostenuto Spadolini, emerito storico e Presidente del Senato- “da un complesso di elementi nazionali, in cui prevale la emulazione con la Germania nazista, che mai chiese all’Italia di Mussolini, almeno in quegli anni di adeguarsi alla legislazione anti ebraica”. Sta, però, di fatto che il complesso di provvedimenti discriminatori, adottati dal fascismo, furono, e restano, vera vergogna per l’Italia. Affermazioni, nelle leggi del ’38 come “Gli ebrei non appartengono alla razza italiana”, “esistono razze grandi e piccole”, “esiste ormai una pura razza italiana”, ”è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti” non appartenevano, e non appartengono, alla tradizione civile e culturale degli Italiani, ed, inverosimilmente si rivolgevano ad una parte, quella ebraica, che in Italia era costituita da appena 45.000 soggetti su una popolazione di 44 milioni di abitanti: appena l’1,3 per mille. Un odio verso quella minoranza “minuscola e generosa, che si era identificata con la causa nazionale e risorgimentale”. Un grande punto di riferimento, tra altri, Benedetto Croce sulla rivista “La critica” condannava “l’intera follia di una intolleranza, che costituiva la più completa negazione degli ideali di libertà e di umanità”.

Ma “la campagna antisemita in Italia andrà fino in fondo ed alle sofferenze degli ebrei di Germania, Austria, Ungheria e Romania si aggiungeranno quelle dei quarantamila ebrei italiani”. A quella grave distorsione legislativa reagiva Piero Calamandrei: “il giurista sente a maneggiare quelle leggi oppressive lo schifo del contatto immondo”. Con la fine della guerra e la liberazione dai lager dei superstiti, il ricordo, terrificante, va alle torture alle quali furono sottoposti milioni di esseri umani: esecuzioni di massa, forni crematori, torture, violenze di ogni tipo di brutalità fino alla loro disumanizzazione, esperimenti pseudoscientifici eseguiti da medici delle SS! Tutto questo passato, tragico, disumano, di follia legislativa e di governi ritrova, per l’Italia e le democrazie occidentali, la sua consacrazione democratica a partire dal ’44, con la cancellazione delle leggi razziali, che segna, per l’Italia, il ritorno ai valori del Risorgimento, con la pienezza di affermazioni solenni della sacralità di quelli delle libertà democratiche e di uguaglianza nella Costituzione repubblicana. Ma la memoria, quale testimone di riferimento della storia, in questa e nelle future generazioni, va alimentata nella coscienza civile e culturale, con la consapevolezza che il “razzismo è in radice incompatibile con qualunque Stato di diritto. L’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge – proprio il solenne principio espresso dall’art.3 della Costituzione repubblicana – è una eguaglianza inscindibile dal valore della tolleranza”.