I giardini di marzo

Armando Lostaglio

I giardini di marzo si vestono di nuovi colori” Così cantava Lucio Battisti nella primavera del 1972, una lirica di auspicio, di primavera in primavera. Eravamo ragazzi pieni di luce negli occhi, sebbene il divenire restava incerto come alle precedenti generazioni. E noi cantavamo come giovinezza comanda. Sempre. E anche questa primavera che si avvicina contiene i segni di una buona stagione? Mah, sempre con Battisti e Mogol, “lo scopriremo solo vivendo”.

Le immagini che scorrono non offrono spettacoli edificanti. E’ tuttavia vero che la democrazia conserva obblighi di appartenenza o di contrasto pur in una logica di “bene comune”; è pur vero che a noi tutti resta il compito di sentirci protagonisti, non solo spettatori paganti malgrado non se ne vedano sempre gli esiti in una scena che spesso ci ignora. Eppure, i segni di questa primavera odorano di nuovi colori. Dalle macerie si può uscire, si deve. Scrive il cardinale Ravasi che “smorzata la retorica delle illusioni, guai ad estinguere nel cuore ogni desiderio, a estirpare ogni attesa, a spegnere ogni sogno: si perderebbe anche la voglia di vivere e si strapperebbe dall’anima ogni seme di felicità …”.

E’ dunque un obbligo non arrendersi, mantenendo alta la tensione dei buoni propositi. La primavera avanza, una luce nuova può avvolgere ogni cosa, occorre leggere con fede e pragmatismo quanto avanza. E perché no, anche con poesia. Come scriveva Continila poesia non tollera ipotesi, ma solo l’evidenza dei miracoli”. Forse i miracoli esistono davvero.

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