don Camillo Perrone "Parroco emerito di S. Severino L."
Incalzati da un tam-tam di cronache mai tanto fitte e inquietanti, con al centro quasi sempre la violenza – contro le persone, negli attacchi terroristici e nei ripetuti assalti alle donne, contro la natura, nella terribile e criminale sequenza di incendi e contro il buonsenso nella folle escalation di minacce nucleari della Corea del Nord – questo primo scorcio di autunno ci è parso molto caldo e travagliato. – Ma occorre guardare avanti e purtroppo ci sconcerta e ci addolora pensare alla lunga schiera di connazionali che si sono tolti la vita per disperazione per l’ormai dilagante disoccupazione e perdita di casa e lavoro. E’ sempre in primo piano la “vexata questio” del lavoro soprattutto nella nostra Basilicata. Aumenta il numero di chi cerca fortuna all’estero, mentre i paesi lucani continuano a spopolarsi.

La crisi mondiale che tocca le finanze e l’economia sembra mettere in luce le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene di consumo che si può usare e poi gettare.
In questo contesto oggi si parla molto di ripresa economica ma – secondo il nostro debole parere – c’è poco da stare allegri. Ecco la fotografia dell’Istat: precario un giovane su 4 soprattutto donne. Anche la ripresa lucana è modesta e relativa ed è da rapportare con una realtà oltre la statistica, realtà fatta da aziende che chiudono, fallimenti, cassintegrazione e lavoratori espulsi dal mercato occupazionale. E’ a loro che bisogna dare delle risposte urgenti.
La classe dirigente locale e regionale, imprenditori, politici ed economisti si attivino insieme per superare l’emergenza. E se da un lato dobbiamo superare la tentazione dello scoraggiamento per aprirci a un futuro più a misura d’uomo, dall’altro lato non possiamo cullarci in una sensazione di forzato appagamento ed ancor meno indurci ad un atteggiamento di comodo disimpegno, ma bisogna rendere concretamente operativo il ricco patrimonio di valori che abbiamo avuto in eredità.
La via d’uscita per l’Italia esiste, nel senso che dobbiamo contare sul cosiddetto capitale umano e sul capitale sociale, ma soprattutto sul capitale spirituale.

Per capitale spirituale si intende quella dotazione individuale e collettiva di capacità di trovare un senso profondo nelle cose, quell’ispirazione e innovazione che sono capaci di stimolare operosità, razionalità cooperativa e sviluppo umano integrale.
Noi lucani dobbiamo investire sul consolidamento delle arterie di comunicazione, su un’agricoltura di qualità, sui nostri tesori archeologici, sui molteplici beni artistici, sulla creatività, su un ambiente sano, sull’arte, sulla cultura, sul paesaggio, sull’aria, sul sottosuolo e su molte altre risorse.
Una delle componenti essenziali delle dinamiche di sviluppo della Basilicata è rappresentata sicuramente dalla valorizzazione del patrimonio culturale e sociale della nostra regione.
Il binomio turismo-cultura assume sempre più valenza prioritaria nell’ambito dei percorsi di rilancio dell’economia lucana. E davvero cresce il turismo con Matera capitale europea della cultura che fa da traino all’intero territorio, a cominciare da Maratea, candidata a patrimonio Unesco, che potrebbe trarre ulteriori benefici dalla vetrina televisiva del 31 dicembre prossimo (“L’anno che verrà” su Raiuno sarà trasmessa proprio dalla perla del Tirreno). E mentre ora nel vetusto e ultracentenario Santuario diocesano di Anglona (Tursi) si è celebrata la XLVI Edizione del Premio Letterario Basilicata sezione di saggistica storica e cultura lucana, ha avuto luogo recentemente la Settimana Sociale dei cattolici italiani a Cagliari, incentrata sull’annoso e spinoso problema del lavoro.
In conclusione occorre promuovere quei valori che favoriscono l’amore, l’uguaglianza tra gli uomini, perseguono l’unicità di ciascuno, cercano la vera libertà e fanno di ogni potere un servizio.
Non basta comprendersi per amarsi, bisogna amarsi per comprendersi. Ecco da dove ripartire, in questa fase drammatica dell’economia e della politica. Papa Francesco, in una frase accorata, ha espresso un monito che condensa tutto questo. “Il futuro esige oggi – ha scritto il Pontefice – di riabilitare la politica, che è una delle forme più alte di carità”.
Il futuro esige anche una visione umanistica dell’economia e una politica che realizzi sempre più e meglio la partecipazione della gente, eviti gli elitarismi e sradichi la povertà e favorisca sbocchi occupazionali.
Necessita spezzare la logica di un sistema culturale univoco e perverso, di cui subiscono tutte le contraddizioni e le perversioni, proponendo un’alternativa credibile che riaffermi i valori evangelici della fraternità, della carità, della comprensione e del dialogo.
Occorre rimettere in discussione il clima culturale dominante e se esso non è conforme né al Vangelo né alla dottrina della Chiesa impegnarsi a cambiarlo. Non si tratta di essere di destra o di sinistra, si tratta del fatto che esistono verità e valori di fondo di cui i credenti devono essere fermamente convinti e dai quali non si può prescindere.
A questo proposito, ricordiamo quello che Paolo VI scrisse nella Octogesima adveniens: “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri…essa si sforza di dare soluzione ai rapporti tra gli uomini” per cui i cristiani “si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e l’evangelo e di dare, pur in mezzo a un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini”. Una fede cristiana e una dottrina sociale di alto profilo che aspettano solo essere tradotti in fatti.