Armando Lostaglio
L’alba e il tramonto
Poesie di Michele Libutti
(Ed. Nuova Prhomos)

Non lunga tra due golfi di clamore / va, tutta case, la via; / ma l’apre d’un tratto uno squarcio / ove irrompono sparuti / monelli e forse il sole a primavera. / Ma i volti non so più dire.
Questi versi di Vittorio Sereni riaprono un luogo ed un tempo, gli stessi che le poesie di Michele Libutti portano a riappropriarsi, nel suo ultimo libro L’alba e il tramonto (Ed. Nuova Prhomos). Uno spazio lontano nel tempo, oppure a portata di mano, ora, in questo istante. L’istante appunto, che si colora di tempo e di odori, di sfogliatelle e di bianchi bambini.
E di uomini che si domandano del loro tempo, da dove provengono, e perché “il cielo è azzurro”. Versi che sono come i bambini che scrivono dentro di noi quando il tempo si ferma, anzi ci fa guardare indietro. Quando il tempo non è necessariamente nostalgia.
La poesia sa fare questo, e molto altro ancora.
Il verso di Michele (poeta dopo quattordici pubblicazioni di romanzi novelle e favole) offre in tal senso una innocenza che a tratti sembra perduta, nei meandri di questo tempo sbandato. “Con questo libello l’estro politropo di Michele Libutti si misura con la Musa tenuis” scrive in postfazione Deana Summa. E dunque, nel coagulo di ricordi (per lunghi anni è stato medico ed una successiva laurea in lettere classiche) diventa chiaro come spesso non si possa reagire al destino: “tutto nasce e muore”. Eppure i sogni restano la via d’uscita.
I ragazzi che giocavano a pallone con lui un secolo fa, le donne incontrate durante la sua professione, l’alba e il tramonto (poesia che da il titolo alla silloge) sono la forza ineluttabile che da senso a questa raccolta di poesie “discorsive”. Poco ritmo, eppure echi di adolescenza nel profumo di una via che rimane pressoché intatta. La via del poeta Vittorio Sereni si incrocia con la strada interiore di Michele, che da parallele trovano un tratto comune: è quello della fede, della richiesta Superiore di un Io che non si rassegna a restare fermo nel proprio tempo e nel proprio spazio. Un Dio che evochi un D’io che si offre agli altri. Una solidarietà umana che prescinde dal nostro tempo. Anzi, lo sfida. Perché la poesia è sfida!