don Camillo Perrone "Parroco emerito di S. Severino L."
Il Governo vara il Reddito di Cittadinanza, il nuovo sussidio di 780 euro riguarderà una platea di 5 milioni di persone. Ma non mancano le incognite: incentivo all’occupazione o assistenzialismo?
Nascerà il “nuovo Welfare State”, come sostengono il premier Conte e lo stesso Ministro Di Maio? Sono questi gli interrogativi di fronte al Reddito di Cittadinanza, misura di bandiera dei 5 Stelle, anche se molto diversa dal progetto iniziale del Movimento. Non si tratta infatti di una rendita incondizionata per tutti i cittadini, ma di un sostegno contro la povertà e uno strumento per trovare lavoro. Restano i dubbi e le incognite: l’occupazione si crea a livello di imprese, non la producono i Centri per l’impiego. Tra l’altro, come avverte la Banca d’Italia, la recessione economica è dietro l’angolo: da dove arriveranno i nuovi posti?
Il RdC è importante e da verificare. Ci sono luci e ombre sul reddito.
Le cifre del Reddito di cittadinanza sono imponenti. Il Governo vi ha destinato solo per quest’anno sei miliardi di euro (inizialmente dovevano essere nove). Ecco i principali numeri dell’assegno mensile per i meno abbienti: 780 euro reddito massimo di cittadinanza, 1.7 milioni il numero delle famiglie povere che compone la potenziale platea destinataria del provvedimento.
Con il Reddito di Cittadinanza, il Governo di Giuseppe Conte ha un progetto ambizioso: rilanciare il lavoro e abolire la povertà.

Non si tratta di una prima assoluta in Italia: il primo esperimento in tal senso fu il Reddito minimo di inserimento, nel 1998, introdotto dal Governo Prodi in 267 Comuni: 500mila lire al mese (258€ di oggi); somma anche essa condizionata alla ricerca di un impiego e a programmi di inserimento sociale, mai estesa in tutto il Paese perché mancavano le risorse (2,5 miliardi di euro). Altri due progetti sono rimasti nel cassetto per lo stesso motivo: il Reddito di ultima istanza del Governo Berlusconi del 2004 e il Sostegno per l’inclusione del 2013, quando presidente del Consiglio era Enrico Letta.
Ora invece il Governo giallo-verde ha messo a punto una vera e propria rivoluzione, estendendo il Reddito e la Pensione di Cittadinanza a una platea di 5 milioni di persone, con una spesa di sei miliardi di euro (di cui uno per la riforma dei Centri per l’impiego). Il 47% dei beneficiari del RdC sarà al Centro-Nord e il 53% al Sud e nelle isole. Notevole la base di partenza, pari a 500 euro più 280 di contributi per l’affitto (oppure 150 per chi ha il mutuo) per raggiungere i 1330 euro in una famiglia con tre figli (due minorenni e un maggiorenne).
Tra gli effetti che il Reddito di cittadinanza potrebbe avere sulle grandezze del mercato del lavoro è lecito aspettarsi un paradossale aumento del tasso di disoccupazione e dei salari minimi di mercato pagati dalle imprese.
Il fallimento attuativo di una legge che assorbe miliardi di euro è un rischio che non deve essere corso. Ma il Reddito di cittadinanza approvato a gennaio fa intravedere forti problemi applicativi. E di fatto istituzionalizza il principio di discriminazione.
La scelta del governo, che non ha cercato il confronto con i soggetti sociali che si occupano di povertà, è assai discutibile: le esperienze territoriali e la competenza dei corpi intermedi andrebbero valorizzate.
Affiora la necessità di un cambio di passo. E di riconsiderare un modello ormai superato del Welfare State, quello che è stato per decenni punto di riferimento obbligato e la cui inadeguatezza, oggi, deriva non tanto dalla scarsità delle risorse quanto piuttosto dalla discrasia che si va man mano accentuando tra qualità dei nuovi bisogni sociali e risposte delle istituzioni. Se infatti il Welfare è in grado di rispondere ai bisogni materiali e istituzionali che hanno come bene-risposta i beni materiali e quelli che le istituzioni sono in grado di produrre (scuola, sanità, servizi sociali); questo modello non è assolutamente in grado di rispondere ai bisogni di relazione che riguardano le domande di solidarietà, di condivisione, di affettività e di dignità che oggi attraversano in prevalenza le fasce dei deboli e degli “ultimi” coloro che vivono ai margini della società, i poveri, coloro che della crisi economica e sociale sono le principali vittime.
Eppure gli “ultimi” oggi sono più di ieri. Costituiscono il cuore, non più i margini, di una società ferita, colpita nel suo benessere e nelle sue prospettive di progresso. Sono tanti coloro che hanno visto peggiorare la propria condizione: chi ha perso il lavoro, chi vive dell’assistenza pubblica (quando c’è) o di qualche forma di carità privata, chi è ammalato e non può curarsi, chi ha una pensione così misera da dover scegliere tra pagare il vitto o la bolletta della luce, chi, giorno per giorno, non sa come sopravvivere.
L’elenco triste, ma reale, potrebbe continuare.
Meriterebbe maggior approfondimento la questione di come attuare la riforma nelle regioni con minori opportunità lavorative, e contestualmente con maggiori presenze stimate di beneficiari. Ma in generale, è necessario tenere in grande conto la dimensione dell’efficacia degli interventi, che deve essere direttamente proporzionale alle risorse investite. Produrre il fallimento attuativo di una legge che assorbe circa 7 miliardi di euro è un rischio che non deve essere corso, per evitare di rafforzare nel Paese le posizioni di quanti ritengono scarsamente utili – o addirittura dannosi – provvedimenti che si occupano di povertà.
La scelta dell’attuale maggioranza di governo, che non ha cercato il confronto con i soggetti sociali che si occupano di povertà, è dunque assai discutibile: non si tratta del rispetto formale di una ritualità o di affermare forme di neo consociativismo, ma di ascoltare e valorizzare le esperienze territoriali e la competenza dei corpi intermedi, risorse essenziali per ridurre la possibilità di errori di valutazione.
Quindi non mancano i timori e le critiche al provvedimento. Il moltiplicatore troppo basso previsto per i componenti della famiglia penalizza i nuclei numerosi, i più colpiti dalla povertà. Avere tre o sei figli è quasi uguale, e non è giusto. Colpisce la complessità dei requisiti e la farraginosità delle procedure. Ogni volta che si modifica la situazione reddituale occorre comunicarlo: un marasma cosmico. E c’è il rischio che il RdC finisca per integrare lo stipendio in nero di tanti, per esempio badanti e colf (6 su 10 lavorano in nero). E non dimentichiamo che il reddito rischia di innescare quello che gli economisti chiamano “la trappola del Welfare”, scoraggiando chi percepisce il sussidio a cercare un impiego, ritenendolo sufficiente. Un pericolo incombente soprattutto nel Sud dove manca il lavoro.
Nell’Italia Meridionale, l’emergenza occupazionale resta la priorità da affrontare subito.
Si tratta della lama più profonda che incide sulla vita delle famiglie.
Auspichiamo tutti con molta fiducia e insistenza che il governo giallo-verde possa veramente affrontare in modo efficace la gravissima situazione economica e lavorativa, che grava sulla gente. I partiti, se puntano a un vero riformismo, non devono escludere dalle loro “agende” principi come il diritto al lavoro e la difesa dello Stato sociale.
Cosa fare allora? Risposta possibile: la ricomposizione di una comunità solidale all’interno della quale i poveri non solo siano accolti, ma diventino protagonisti. Il soggetto che esclude è, infatti, la società civile, ma è proprio in essa il volontariato può avere un ruolo determinante per ricostituire una vera comunità. E all’interno di una comunità rinnovata e realmente solidale si possono produrre quei processi vitali e relazionali in grado di rispondere ai bisogni di riconoscimento, di dignità e di partecipazione che connotano oggi fortemente la condizione dei poveri.
Solo in questo modo si potranno concepire – come afferma Papa Francesco – quelle politiche non verso i poveri, ma dei poveri e con i poveri. Solo i poveri possono contribuire credibilmente a rispondere ai bisogni profondi degli stessi poveri, offrendo un terreno ottimale per una loro piena partecipazione alla costruzione di un progetto sociale che coinvolga tutti i popoli.