Cultura della Partecipazione per una Cittadinanza Responsabile

Dalla recente competizione elettorale lucana è emerso che appena il 53% – degli aventi diritto – si è recato alle urne. Cosa per noi, ci si lasci la parola, deplorevole!

Don_Camillo_Perrone

Frattanto si avvicinano le elezioni europee e amministrative. Ricordiamo appunto che il prossimo 26 maggio 2019 – giorno delle elezioni – a nessuno è lecito sottrarsi al dovere elettorale.
In linea generale ora diciamo che tutti e ciascuno hanno diritto e dovere di partecipare alla politica, sia pure con diversità e complementarietà di forme, livelli, compiti e responsabilità.
Le accuse di arrivismo, di idolatria del potere, di egoismo e di corruzione che vengono rivolte agli uomini del governo, del parlamento, della classe dominante, del partito politico; come pure l’opinione non poco diffusa che la politica sia un luogo di necessario pericolo morale, non giustificano né lo scetticismo né l’assenteismo dalla cosa pubblica.
La partecipazione politica poi richiama la solidarietà di tutti per la ripresa economica.
È noto che l’Italia è a crescita zero, in stallo.
Dalla crisi ora non si esce esasperando i conflitti e lo spirito di contesa, ma praticando rinnovata solidarietà e nuova amicizia civica. L’Italia è stata grande quando, nei momenti difficili, tutti si sono fatti carico e si sono presi cura l’uno dell’altro. Questo è tempo di risveglio della consapevolezza che ci lega un destino comune, che solo insieme supereremo le prove che ci attendono e per ciò stesso inizieremo a ricostruire.
È necessaria una ripresa dello sviluppo economico, che garantisca un rinnovamento nella solidarietà e nella giustizia per tutto il Paese e per gli uomini che in esso vivono.
Questo momento storico, sia a livello locale che nazionale, sembra essere caratterizzato da un corto circuito nel naturale rapporto che deve esistere tra società civile e classe politica.
Da un lato la società civile si dimostra all’apparenza insensibile ai problemi della collettività, salvo quando vengono toccati interessi molto specifici di alcune comunità locali: generalmente il cittadino resta lontano dalla politica poiché la percepisce distante dai bisogni, vivendola con rassegnazione, in quanto ha la sensazione di non incidere in alcun modo nelle scelte che da essa derivano; ne consegue il disinteresse generale – soprattutto tra i giovani – per un impegno diretto o peggio ancora la totale delega della responsabilità civile a quanti esercitano il potere.
Dall’altro la classe politica non si preoccupa di favorire il dialogo e il confronto con la società civile, attraverso un ripensamento delle forme concrete di partecipazione democratica: il momento del voto appare come l’unico vero momento di verifica che essa concede alla società civile. Ne consegue che ogni competizione elettorale si trasforma nello scontro tra opposte visioni del mondo, anziché essere il momento attraverso cui progettualità e spinte ideali si compongono nella individuazione di concreti percorsi di costruzione del bene comune per il futuro.
Entrambi questi aspetti denotano un grosso deficit di partecipazione.
Nessuno può disinteressarsi della politica quando la politica concerne gli interessi del bene comune … ed il cattolico in particolare poiché la professione della fede cattolica richiede che egli sia un ottimo cittadino” (Pio XI).
A noi pare che il più urgente dovere sia quello di allontanare dal nostro spirito ogni tentazione di smarrimento e di apatia, di rassegnazione e di fatalismo, che costituirebbero il più grave pericolo nella già grave situazione del momento.
Non ci nascondiamo, certamente, le reali molteplici difficoltà, le deviazioni e gli errori. Occorre riprendere coscienza della necessità di una responsabile partecipazione di tutti agli impegni richiesti dalla situazione.
Nessuno può sentirsi esonerato, in questo momento, dall’assumere i propri compiti precisi, per collaborare a tradurre le aspirazioni di una promozione umana in Italia e in Europa.
L’immagine della nostra nazione oggi, un Paese in crisi economica, valoriale e sociale, non invita all’impegno per cui forte diventa la tentazione di cedere alla delusione, di andare ciascuno per la propria strada e di rinunciare al diritto di partecipazione. Ma è una tentazione che va combattuta. Come cantava Gaber, libertà non è stare sopra un albero, isolarsi, appartarsi; libertà è partecipazione.
Gravi sono ora i problemi nazionali, non meno gravi quelli internazionali. Si pensi alla Brexit, al Venezuela, ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in rivolta.
Il mondo è in vulcanico tumulto, mentre ritornano i muri. Segnano confini, marcano differenze, ingigantiscono paure, rievocano un passato di guerra e dolore.
Sono i muri che, dentro e ai confini dell’Europa, accompagnano il Vecchio Continente.
Dai Balcani alle Repubbliche Baltiche gli Stati alzano barriere difensive come ai tempi della Guerra Fredda. Ma oggi il “nemico” sono i più deboli.
Quindi non mancano le forze che mirano ad una disgregazione, ad un’Europa meno forte. Ma questa traballantecasa comune” non è soltanto un’unione tra Stati ma anche e soprattutto il simbolo, nel mondo intero, dei valori che ne hanno fatto la storia, primi fra tutti quelli di democrazia e libertà. Ed è proprio per questo che in momenti di crisi c’è bisogno più che mai di un’Europa forte, soprattutto dopo gli attentati di Parigi e in altre città europee e nel bel mezzo di una minaccia terroristica sempre incombente. Tocca all’Europa ribadire ciò in cui crede e ciò che le ha permesso di uscire dalle due grandi guerre mondiali che l’hanno ferita nei primi 50 anni del secolo scorso.
Questa Europa, oggi zoppicante, ha permesso a popoli nemici di non più farsi la guerra, ha saputo resistere alla minaccia comunista, ha contribuito alla riunificazione delle due Germanie e all’integrazione nel suo progetto dei Paesi dell’Europa dell’Est. Proprio in un contesto difficile e colmo di tensioni vanno ricordate queste tappe, perché senza di esse oggi l’Europa sarebbe di sicuro più povera e più fragile, e con essa anche i suoi cittadini. E occorre trovare soluzioni durature ad un processo di integrazione europea ancora incompleto. L’UE non è stata in grado di rispondere a un evento epocale in nome di quei valori di solidarietà e rispetto dei diritti fondamentali su cui è nata.
L’Europa deve cambiare la sua politica economica. Occorre una sana politica.
Che oggi è latitante. Si identifica nei cosiddetti partiti personali, in uno sfrenato individualismo, in un deteriore familismo o, peggio ancora, in un ritorno del trasformismo, duro a morire.
Pensiamo all’Europa come fonte di giustizia, come sostegno al Terzo Mondo, come centro di fratellanza e di pace, come ponte tra Oriente e Occidente, tra Nord e Sud.
Un’Europa come l’hanno intesa e voluta i suoi fondatori De Gasperi, Adenauer e Schuman.
Papa Francesco invita a “mettersi insieme per affrontare con vero spirito europeo le problematiche del nostro tempo. L’Europa si trova in un mondo complesso e fortemente in movimento, sempre più globalizzato e perciò sempre meno eurocentrico, l’immenso patrimonio europeo, permeato di cristianesimo, appartiene a un museo, oppure è ancora capace di ispirare cultura e di donare i suoi tesori all’umanità intera”.
Papa Francesco auspica una società civile europea capace di “lavorare in rete per l’accoglienza e la solidarietà verso i più deboli e svantaggiati, per costruire ponti, per superare conflitti dichiarati o latenti”.
In conclusione, il 26 maggio si avvicina. Non è lecito sottrarsi al dovere elettorale, ad esso è collegata una professione di fedeltà a principi e a valori irrinunciabili.
Quegli originali principi, per i quali gli uomini sono davvero liberi e davvero sono chiamati a vivere nella fraternità e nella pace. Si impone una mobilitazione generale.
Ogni indifferenza è delitto imperdonabile.

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