don Camillo Perrone "Parroco emerito di S. Severino L."
Nella dottrina sociale della Chiesa un irrinunciabile patrimonio. “In effetti, per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano…” (Centesimus annus, 5).
La dottrina sociale della Chiesa sono i principi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione da cui partire per promuovere un umanesimo integrale e solidale, tanto sostenuto dal filosofo Maritain, affinchè i cristiani si rendano capaci di interpretare la realtà di oggi e di cercare appropriate vie per l’azione, in rapporto con la natura e la società, per conseguire il bene comune.
La dottrina sociale, spesso, viene ricollegata nella sua genesi all’enciclica Rerum Novarum (1891), alla Populorum Progresso (1967) di Paolo VI, Centesimus annus (1991) di Giovanni Paolo II, Caritas in veritate (2009) di Benedetto XVI, alla Laudato sì di Papa Francesco. Questi documenti pontifici sono il frutto non solo del Magistero della Chiesa, ma anche del dibattito e degli studi di sacerdoti e laici cattolici. I profondi processi di cambiamento sul piano internazionale, la globalizzazione e la crisi degli Stati nazionali, l’innovazione nelle relazioni industriali e sociali e nei processi di produzione, hanno indotto il mondo dei “laici” ad interrogare la Chiesa rispetto a questi problemi e a cercare nella dottrina sociale possibili risposte su cui confrontarsi.
Confrontarsi sui temi del principio della solidarietà, del lavoro e della dignità del lavoratore, dell’equa remunerazione e distribuzione del reddito, sul libero mercato, sulla opportunità e i rischi della globalizzazione, sul sistema finanziario internazionale, sul rispetto dell’ambiente.

Si pensi ora alla fuoriuscita del petrolio nel Cova – Val d’Agri con danni ambientali; si pensi ai tanti morti sul lavoro, alla vertenza Ferrosud, alla questione complessa dell’Ilva di Taranto.
Dispiace purtroppo dover affermare, sulla scorta delle riflessioni di Papa Francesco, che i diritti e le garanzie a tutela dei lavoratori sono sempre più sacrificati in nome dei profitti.
I lavoratori e le lavoratrici del mondo sono in larga parte accomunati dalla riduzione dei salari e ( ciò che preoccupa) dalla diminuzione della qualità della vita. La globalizzazione, della quale si dicevano grandi cose, considera i profitti come l’assoluto della vita, a spese dei deboli. Si svilupperanno sempre più forme esplicite di sfruttamento, se non s’interviene con decisione. Anzitutto, c’è bisogno di una direzione dell’economia: la prospettiva non può essere la massimizzazione dei profitti, né d’altro conto il controllo del sindacato, ma la creazione di lavoro, riferito al bene della persona e della società. Si avverte una pressione grande, un’angoscia reale per chi non ha lavoro. Dobbiamo metterci tutti nella prospettiva di sviluppare cammini di occupazione. Promuovere la elaborazione di politiche solidaristiche da parte dei gruppi politici, dei sindacati, della cooperazione e dell’associazionismo cristiano. La vera politica parte dai più deboli: occhi puntati sulla nostra Basilicata alle prese con una crisi locale e globale. Riferendoci agli imprenditori ci sono troppe tasse e troppa burocrazia. Gli imprenditori chiedono servizi efficienti e maggiori infrastrutture, anche telematiche. Soprattutto favorire le piccole e medie imprese, liberandole da pesi fiscali insopportabili; adoperarsi per liberare il lavoro da forme di illegalità avvilenti, ecomafie, agromafie, caporalato.
Cosa ha fatto il Cristianesimo per il proletariato? Prima del Cristianesimo la questione sociale, la questione operaia si chiamava schiavitù. Nell’era pagana un abisso profondo divedeva le varie classi della società. Una gran parte di uomini portava sulla fronte come un marchio d’infamia che li opprimeva e li degradava. Fu merito del Cristianesimo aver rinnegato l’abbietta filosofia, che insegnava che alcuni uomini sono nati per la libertà e altri per la schiavitù. Non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo quella che costruisce e porta a un mondo più abitabile, ma la cultura della solidarietà, la quale fa vedere nell’altro un fratello.
Alla luce – e sulla scorta – di questi princìpi si è mosso il democristiano Donat Cattin che disse: “Prima gli operai”. C’è una data emblematica per ricordare chi fu Carlo Donat Cattin del quale è stato celebrato, recentemente, presente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il centenario della nascita. Correva l’anno 1969, era il 21 dicembre, l’inverno subentrava al più “caldo” autunno della storia Repubblicana. Una dura stagione di dure lotte sindacali si chiudeva con un “lodo storico” per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Una settimana prima era esplosa la bomba di Piazza Fontana, “premonitrice degli anni di piombo”, e quel ministro che veniva dall’impegno sindacale indicò la strada che avrebbe consentito al Paese di farcela, contro i tentativi opposti di farlo precipitare nel baratro: il dialogo sociale. Ma lo storico accordo fu preceduto da un’impuntatura di un ministro del Lavoro che amava definirsi ministro “dei lavoratori” e turbò il sonno alla famiglia più potente d’Italia, di Gianni Agnelli, che ricorda come dovette sottostare alla richiesta di Donat Cattin di ritirare circa 200 licenziamenti, dopo un’esitazione durata alcune ore, come premessa per proseguire la trattativa.
Donat Cattin è stato parte della storia della Cisl. La sua fu una politica basata sui valori evangelici e sui princìpi democratici, “popolare e mai populista” dice Casini.
Determinante il suo ruolo nel varo – essendo lui ministro – dello Statuto dei lavoratori a chiudere quella stagione di lotte sindacali. Morì per una crisi cardiaca, il 17 marzo 1991.
La Chiesa è sempre interessata affinchè in teoria ed in pratica fossero riconosciuti tutti i diritti del lavoro e del lavoratore. Tra questi occupa un posto importante il diritto ad una giusta retribuzione, la quale prende il nome di salario o stipendio.
Il lavoro non è una merce, è un’attività della persona umana, è una manifestazione della vita dell’uomo. Il lavoro perciò partecipa della nobiltà dell’uomo e non può essere considerato con criteri puramente economici, né lasciato al gioco della libera concorrenza, ma rimunerato con giustizia ed umanità.
“Il lavoro al centro della sfida del Paese. All’Italia servono investimenti in ricerca e sviluppo e meno tasse” dice Annamaria Furlan, Segretario Generale della Cisl.
Ora disponibilità finanziarie cospicue: per la lotta alla povertà in Italia si apre una nuova stagione. La misura (Reddito di Cittadinanza) scelta, peraltro, mostra evidenti criticità, di impostazione. Ma bisogna evitare il rischio, tutto italiano, di prepararsi ogni volta a resettare il sistema.
Inoltre, tutte le volte che ho sentito parlare di tassa piatta, o Flat tax, mi sono ricordato, e ho cercato di ricordare ad altri, quel che diceva Don Milani: “Non c’è peggiore ingiustizia del fare parti uguali tra disuguali”.
La suggestione su cui si fonda la proposta è che la comunità si arrichisce se ogni cittadino paga meno. Inutile sottolineare che la tassa piatta suscita l’entusiasmo dei ceti (produttivi ma anche parassitari) che abitualmente più si lamentano per le vessazioni subìte.
Ai quali peraltro normalmente poco si chiede (e con molto riguardo) se e quanto, prima di protestare, siano in regola con i doveri di solidarietà di cui parla l’articolo 2 della Costituzione. Quest’ultima, occorre rilevarlo, presenta in materia fiscale un itinerario opposto a quello delineato dai fautori della Flat tax. All’articolo 53, essa sancisce che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e che “Il sistema tributario è fondato su criteri di progressività”.
In conclusione, oggi c’è bisogno di una Chiesa più profetica, più propositiva e più capace di coinvolgersi con la vita concreta delle persone. C’è bisogno di persone che si impegnino a fondo per la soluzione delle problematiche su esposte. C’è bisogno di adulti (operai, imprenditori, economisti, sindacalisti, sacerdoti, insegnanti, politici, ecc …) che sappiano educare i giovani ad affrontare nel modo giusto il problema del lavoro, introducendoli alla pratica e al senso del lavoro, attraverso un’adeguata educazione all’iniziativa privata, all’impegno personale, alla fatica, al sacrificio, all’esercizio della volontà, alla giusta competizione, al valore del merito, alla collaborazione e alla condivisione delle fatiche e dei risultati, alla solidarietà.