Antonio Vincenzo Violante
“LA VITA INCOMINCIA DA TE, BALILLA” – L’entusiasmo era enorme quando ci veniva detto: “La vita incomincia da te, balilla. Sarai giovane, sarai uomo, la tua fede come la fiamma che brilla e consola, mai si spegnerà, renderà sicuro e giocondo il tuo cammino verso vette radiose“.
Io, allora, ero balilla e queste parole mi esaltavano al punto che esse risuonano tuttora nel mio timpano e sono come scolpite nella mia mente. Il mio comportamento ne è stato influenzato? Sicuramente sì , anche se non del tutto. “In noi c’è… ancora qualcosa di lui, ed ancora una volta la nostra liberazione civile passa attraverso l’ossessione ipnotizzante di quel fantasma” (Cfr. Seconda Guerra Mondiale – I grandi protagonisti: Mussolini – di Guido Cerosa – pag. 61 – G. E. Fabbri).
LA PAROLA DATA È SACRA – Già per il fatto che si giurava di essere fedele al Duce, di difendere la patria e di dare il proprio sangue per la causa della rivoluzione fascista impegnava moralmente. Il giuramento era l’espressione della fede fascista. E, chi giurava, difficilmente diveniva spergiuro, anche perché tutta l’educazione era basata sul rispetto della “parola data”. “Soldati fin da piccoli”. Lo scopo delle organizzazioni giovanili fasciste era quello di inculcare nei giovani, sin dall’età scolare, il culto militarista delle armi e della violenza. Il “sabato fascista”, consisteva nel dover marciare ogni sabato per le strade del paese e nel dover prendere parte attiva alla “dottrina fascista”.
AMORE PATRIOTTICO – Ci sentivamo tutti forti e leali. Ogni sabato c’era la marcia per le strade del paese e la gente, vedendoci tutti ordinati e disciplinati, ci guardava con ammirazione e meraviglia. Si agiva con vero entusiasmo, eravamo fieri del nostro comportamento e sentivamo vero amore di Patria. Eravamo tutti pronti a difenderla ad ogni costo.
Le scuole di ogni ordine e grado, alla fine dell’anno scolastico, dovevano partecipare al saggio ginnico. Era un dovere ed un sancito obbligo. Chi si assentava rischiava la bocciatura. Era questa una ingiustizia, ma abituava a rispettare la legge e creava delle abitudini morali.
“Figli della lupa, balilla, giovani fascisti, avanguardisti:...la vita incomincia da voi tutti“, erano queste le parole altisonanti dei dirigenti, ma che rendevano responsabili ed orgogliosi di essere fascisti.
UNO SPETTACOLO DI MISERIA: BANDITO E CONFINATO – Il medico torinese Carlo Levi, fu messo al bando dal fascismo, essendo egli uno degli esponenti del movimento “Giustizia e Libertà“.
Prima fu messo in prigione, dopo fu destinato al confino.
Con l’esilio ebbe la possibilità di rendersi conto della realtà meridionale dell’entroterra, rimanendone scioccato e colpito moralmente. Subito, si rivelò in questo uomo, il forte desiderio di aiutare quelle persone considerate bestie da soma: l’uomo era vilipeso ed abbandonato, lasciato nel mondo dell’ignoranza e dell’arretratezza.

Carlo Levi, con la sua grandezza spirituale, avvicinava grandi e piccoli, per “squarciare l’oscurità in quelle zone”. Egli era anche scrittore e pittore.
E’ autore del libro “Cristo si è fermato ad Eboli” in cui racconta la sua storia di confinato in Lucania ed in cui esprime pietà e dolore per quell’umanità sofferente.
Egli seppe stringere un rapporto molto intenso con i contadini di Aliano, anche perché bravo medico, e, ne scoprì l’intimo più segreto. Si accorse che quelle persone vivevano come chiuse in un destino di abbandono e di miseria. Egli vide in quella gente ignorante ed indigente il suo prossimo da soccorrere ed aiutare, come meglio possibile, a redimersi…
A questo punto mi viene prepotente il desiderio di riportare, qui di seguito, il pensiero di Giuseppe Mazzini sul prossimo.
IL PROSSIMO – “Vecchi e giovani, ricchi e poveri, disgraziati e felici tutti sono il nostro prossimo.
Noi abbiamo tanti bisogni che non sappiamo soddisfare da soli; ecco che ci aiuta il nostro prossimo.
Il medico, l’insegnante, l’operaio, l’agricoltore, tutti coloro che lavorano sono il nostro prossimo. “AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO”; soccorri il bisognoso; dà il pane all’affamato, sii pietoso con chi soffre, perdona chi ti offende.
Sappi difendere il debole, pratica il bene, consola chi piange. Questo significa amare il PROSSIMO”. Giuseppe Mazzini
I CONFINATI – I delatori del partito erano ovunque per origliare, riferire, accusare e farsi belli agli occhi dei gerarchi fascisti. Si aveva paura di parlare anche con i propri familiari. Risuonava sempre il comando: “Taci, il nemico ti ascolta”. Ma potevano i familiari esserci nemici? Eppure li si temeva. Quanti innocenti, accusati ingiustamente, e quante condanne non meritate! Non c’erano valide giustificazioni e scuse plausibili che potessero attenuare le pecche.
Chi sbagliava pagava più del necessario. Bastava un falso movimento delle labbra, un occhiolino innocente per far traboccare il vaso. Ricordo, con nostalgia, l’arrivo in paese del signor Frittoli, avvocato, proveniente da Cremona. Era stato mandato a San Severino, come confinato. Non c’erano state scuse, ragioni evidenti e giustificazioni e neanche il saggio calligrafico potette dimostrarne l’innocenza. Giunse qui con il foglio di via. Dovette subire passivamente ed accettare la punizione. Era una figura splendida e signorile: girava per le strade del paese seminando buone parole.
Era molto religioso. Io frequentavo la seconda media, L’avvocato mi dava lezioni di latino edi italiano: eravamo in tre ad andare da lui: compar Carmelo Lo Fiego, Vincenzo Ciancio ed io.

Tutte le mattine il confinato andava al cimitero, pronunciando orazioni in suffragio delle anime sante del purgatorio. Era stimato da tutti. Ogni famiglia faceva a gara per invitarlo a cena o a pranzo, in modo da non fargli sentire la lontananza dalla famiglia.
Un giorno, esultante di gioia, venne ad annunciarci la bella notizia: l’annullamento della pena ed il rientro in famiglia. Gli facemmo una gran festa. Tutti dopo notarono la sua assenza.
Nei piccoli paesi ci si affeziona facilmente, ci si vuole bene e si rispetta il forestiero. Un’altra bella figura di confinato era zio Giovanni, così si faceva chiamare. Essendo fotografo, aveva portato con sé una macchina fotografica posta su di un alto treppiede. Si dilettava a fare foto di ogni genere. Questi due personaggi sono stati assai benvoluti per la loro rettitudine e per il modo educato e rispettoso verso tutti.
I confinati, cioè quelle persone che si opponevano al fascismo, oltre che avere l’obbligo di soggiorno in un determinato Comune disagiato, avevano l’obbligo di apporre quotidianamente e, per due volte al giorno, la propria firma in un apposito registro tenuto dai carabinieri. Non potevano né incontrarsi, né parlare con altri confinati. Le loro lettere ai familiari dovevano essere brevi e sottoposte a censura, per scoraggiare dallo scrivere notizie riservate allo Stato. Altre sedi di confino di polizia in Basilicata erano Aliano, che ebbe come ospite il medico, scrittore e pittore Carlo Levi, l’autore del libro “Cristo si è fermato ad Eboli“, poi Ravello, che ebbe come ospite l’onorevole Guido Miglioli, avvocato, e, poi, ancora Pisticci.

SIAMO TUTTI DI ESEMPIO – Uno dei due confinati di cui sopra, era veramente un esempio vivente di buon comportamento, ispirato agli insegnamenti cristiani. Sapeva ben infondere in ognuno insegnamenti pratici ed evangelici che sono rimasti scolpiti nel mio cuore a caratteri cubitali. Egli diceva: “Se vuoi vivere in pace, ascolta e taci, solamente agendo così si può creare una società pacifica; dove c’è odio e rancore c’è fallimento, distruzione di tutti i sani valori morali e civili. Questo non deve essere inteso come negatività, ma deve significare accettazione. Il donarsi è crescere dentro. Accettare il fratello così com’è, non come lo vorrei io. Ciò che si dona fiorisce e ciò che si trattiene marcisce. Come la madre non si nutre del latte del suo seno, così noi dobbiamo spostare l’asse della nostra personalità dall’io al tu ed al noi.
Con la parola “donarsi” deve intendersi: rendersi disponibile ad aiutare chi ha bisogno: “”Ama il prossimo tuo come te stesso“”.
FRATERNA DISPONIBILITA’ – Ecco alcuni pensieri di uno dei confinati che ho conosciuto in San Severino Lucano:
“Il saper vedere la parte migliore degli altri dà pace intima e serenità. Bisogna saper scoprire i valori di chi ci sta accanto e portarli alla luce, decantandoli e valorizzandoli. Bisogna battere le mani non solo agli artisti, ma anche agli uomini comuni che vivono con noi, aiutandoli, con fraterna disponibilità, sempre, ma soprattutto nei momenti di bisogno. E’ necessario saper godere dei talenti degli altri come si gode dei propri. A nessuno è sufficiente il proprio amore. Diamo calore a chi ci vive accanto ed egli fiorirà e porterà frutti di bene”.
La permanenza in paese di questo particolare confinato è stata come una vera scuola pedagogica, non imposta, bensì dolcemente e saggiamente inculcata in chi aveva orecchi per ascoltare.
IL POPOLO E LA GUERRA – A quei tempi veniva propagandata l’idea che la guerra fosse un severo ed inesorabile banco di prova sul quale devono passare, per uno spietato collaudo, idee, uomini e popoli. Il vaglio della guerra sarebbe per i popoli e per le grandi idee una prova definitiva. Da questa nascerebbe la potenza, con l’avvenire prosperoso oppure la decadenza e la miseria. La guerra sarebbe, cioè, il grande setaccio che seleziona la materia umana e la qualifica idonea alle grandi imprese di civiltà, oppure al rigetto nell’ombra della subordinazione.
Gli sprovveduti prendevano per oro colato ogni parola di Mussolini ed ogni monito della propaganda fascista. Le organizzazioni giovanili avevano lo scopo di imprimere nelle menti di grandi e piccoli i sentimenti militaristici che si erano rivelati efficacissimi al punto che tutti, o quasi, attendevano ansiosamente il conflitto. Ed infatti il 10 giugno 1940 scoppiò. Mussolini, capo del governo fascista, si alleava con la Germania per combattere l’Inghilterra e la Francia, così come si accennava prima.

Gli esponenti del partito nazionale fascista di S. Severino Lucano misero su di un balcone in piazza una radio, ad alto volume, per far ascoltare la voce del duce. Allora, nessuna famiglia di questo paese possedeva un apparecchio radio, quindi l’ascolto di quelle parole, dal timbro metallico, destava attenzione e curiosità. Il segretario politico, nella persona di don Vincenzo Ciancio, scandiva queste parole: “Sta-te tu- tti zi-tti, par-la il Du-ce: è la dichiarazione di guerra”. Nessuno parlava, tutti ammutoliti ascoltavano e, di tanto in tanto, si guardavano in faccia, quasi come se ciascuno cercasse nel viso dell’altro un cenno di affermazione e di approvazione a ciò che diceva il duce. La maggior parte dei giovani non immaginava le future conseguenze, ma i più attempati riflettevano, senza poter commentare, tuttavia erano sempre pronti ad applaudire, quando qualcuno cominciava a farlo. Io avevo dodici anni e, come gli altri, ero in piazza ad ascoltare insieme a tanti altri miei coetanei. Ma cosa potevamo capire? Stavamo zitti come i nostri familiari e parenti.
LA PROPAGANDA E LE CONSEGUENZE – Da più parti si affermava: “Tutto il popolo italiano, convocato nelle piazze, ha ascoltato la parola del duce, che, interprete della volontà della Nazione, ha espresso, con la sua maschia e vigorosa voce, l’attesa parola d’ordine: la guerra!”.
E… guerra fu. A tutti è noto che la seconda guerra mondiale, durò per ben sei anni; milioni di soldati italiani lasciarono la vita in Africa Orientale, in Francia, in Russia, nella stessa Italia ecc.. Morirono anche milioni di civili, a causa dei bombardamenti aerei, per i rastrellamenti e per altre cause. Napoli venne bombardata centodieci volte. Milioni di Ebrei furono sterminati nei campi di concentramento nazisti. Ma per fortuna, l’otto settembre 1943, il partito fascista fu sciolto e Mussolini venne arrestato. Il re d’Italia chiese l’armistizio agli Americani che, intanto avevano invaso la Sicilia. I Tedeschi, appena seppero dell’armistizio, si sentirono traditi ed occuparono gran parte del territorio italiano.
Si sentiva continuamente il rombo dei motori degli aerei: era un fuggi- fuggi generale ed un correre a nascondersi. Nei paesi ci si limitava a questo, mentre nelle città si andava nei rifugi sotterranei. Erano luoghi parzialmente sicuri, affollati da piccoli, da grandi e da ammalati. Il bombardamento delle città, la distruzione delle vie di comunicazione, la paura, il panico continuo, collegato alla mancanza di cibo, ne era il risultato. Ricordo molte delle famiglie sfollate dai loro paesi che venivano a rifugiarsi nelle nostre zone interne, forse perché ritenute più sicure. Le scuole erano piene di sfollati. Si adattavano a fare qualsiasi lavoro per vivere.
LA CARTA ANNONARIA – Ogni cittadino aveva una tessera per acquisto alimenti, chiamata carta annonaria. Era questo un documento molto delicato: mensile, diviso per giorni, settimane, non cedibile. Serviva per ritirare dall’esercente i viveri giornalieri. Ogni bollino indicava il prodotto da poter ritirare: pane, duecento grammi al giorno; pasta, centocinquanta; grasso, dieci; formaggio, cinque; zucchero, dieci; caffè, cinque grammi. La razione non bastava mai ed era un continuo cercare cibi che non si trovavano neanche al mercato nero. I mulini per la macina del grano erano sotto stretta sorveglianza militare, chi vi andava di nascosto ed era scoperto, rischiava la galera per contrabbando.
Documento personale per ritirare le razioni del vivere giornaliero.
L’INDIPENDENZA ECONOMICA OD AUTARCHIA – Mussolini, in seguito all’invasione dell’Etiopia, venne punito con le sanzioni economiche volute, nel 1935, dalla Società delle 52 Nazioni Unite, tra cui Inghilterra e Francia. Il duce rispose con l’autarchia, cioè cercò di far produrre agli Italiani tutto il necessario, eliminando le importazioni dall’estero. Ognuno doveva bastare a se stesso. Tutti dovevano essere attivi, sin dalle scuole elementari, ci si abituava a lavorare ed a produrre. Infatti noi delle elementari avevamo un pezzo di terreno da coltivare. Questo campicello scolastico era una delle nostre principali attività didattiche e produttive: lo si zappava, si preparava il terreno, si mettevano a dimora le varie piantine, con cura giornaliera sino al raccolto. L’autarchia o indipendenza economica fu di scarso giovamento. Era, comunque, uno stimolo al lavoro e, nello stesso tempo, un incentivo per rendersi conto, sin da piccoli, che la terra, per dare i frutti, deve essere lavorata.
Tutti impegnati nel lavoro, non si trovava un solo pezzetto di terra incolto. Le famiglie, nel bisogno economico, mandavano i propri figli a lavorare anche per il solo vitto e alloggio. Ai nostri giorni sarebbe possibile l’autarchia? Sicuramente no.
LA BATTAGLIA DEL GRANO – Un’altra trovata del governo fascista fu la cosiddetta “battaglia del grano”. Per far raggiungere all’Italia l’autosufficienza in fatto di grano, Mussolini indisse, la famosa “battaglia del grano”. Grazie all’impegno dei contadini italiani, tale “battaglia” ebbe un notevole successo.
Secondo il duce era necessario fare di tutto perché l’Italia divenisse una civiltà contadina: “Bisogna fare del Fascismo, diceva, un fenomeno prevalentemente rurale”. Essendo egli figlio di fabbro, per propagandare i mestieri, si faceva fotografare ora nelle vesti di fabbro, ora in quelle di muratore, eccetera.
LA TASSA SUL CELIBATO – Che dire, poi, della “tassa” sul celibato?
Fu questo un altro dei provvedimenti abbastanza curiosi, presi da Mussolini, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Per poter avere una nazione molto popolata incoraggiò i matrimoni e l’incremento delle nascite imponendo, addirittura, una tassa sul celibato… Di modo che, anche diversi scapoloni di San Severino Lucano furono costretti o a pagare la tassa od a convolare a giuste nozze.
NE’ IL “LEI” E NE’ LA STRETTA DI MANO – A scuola, negli uffici o per strada non era consentito dare del “lei” neanche alle persone di riguardo in quanto il regime fascista imponeva l’uso del “voi”. Non si poteva neanche, in segno di saluto, stringere la mano a conoscenti o ad amici.

Con molta probabilità la fotografia risale al 1953, anno in cui i fratelli Cirigliano aprirono un forno, per la panificazione, proprio a San Severino Lucano. Molti dei residenti stabili delle borgate di questo Comune e di alcune frazioni di Viggianello cominciarono, proprio in quell’anno, ad acquistare il pane prodotto nel forno elettrico dei Cirigliano.
L’ITALIA DIVISA – Il popolo italiano era stanco moralmente, fisicamente e spiritualmente della guerra. La situazione bellica capitolava. Le forze militari erano stremate per le enormi perdite di soldati e di mezzi. L’Italia si alleò con gli Anglo-Americani ed iniziò la lotta contro i vecchi alleati tedeschi. Costoro, vistisi traditi, occuparono il suolo italiano, come invasori, e scaricarono tutto il loro furore sulla popolazione inerme. Il maresciallo Badoglio, firmato l’armistizio, fuggì. Le truppe americane ed inglesi, provenienti dalla Sicilia, con azioni veramente esemplari, sbarcarono sul continente. L’Italia risultò divisa in due parti: Italiani contro Italiani. In una delle due parti non vi era né un capo e né ordini precisi, per cui l’esercito si sbandò.
LA RESISTENZA – Quando i Tedeschi, da alleati si trasformarono in invasori, molti soldati italiani lasciarono la divisa militare e si organizzarono per lottare, appunto, i Tedeschi. Ebbe, così, inizio la resistenza. Cominciarono, cioè, i movimenti di guerriglia sorti nelle zone occupate dai soldati di Hitler e dai fascisti. I guerriglieri chiamati “partigiani” erano dei civili o dei militari sbandati appartenenti a diversi partiti ed a tutte le classi sociali. Operavano compiendo ogni sorta di sabotaggio ai danni dei Nazi-fascisti. Ne morirono, in vari modi oltre quarantamila. Il loro scopo era quello di dare alla nostra patria un governo democratico. I Tedeschi, per ogni loro soldato ucciso dai partigiani, rastrellavano non meno di dieci civili e li assassinavano. Di questi civili innocenti ne morirono oltre novemila.
Napoli già nel 1943 era insorta contro i Tedeschi e, dopo quattro giornate di lotta, li cacciarono dalla città. Quando gli Anglo-Americani giunsero in città e seppero che a liberarla erano stati gli “scugnizzi“, scoppiarono in una grande risata. Milano ed altre città del nord insorsero solo il 25 aprile 1945, ma i Tedeschi dovettero lasciare l’Italia. Mussolini, travestito da soldato di Hitler, cercò di riparare in Germania, ma, riconosciuto dai partigiani, venne fucilato e trasportato a Milano, dove, nel piazzale Loreto, venne appeso, per i piedi, ad una traversa di un distributore di benzina.
RICORDI NEGATIVI DEL LONTANO PASSATO – L’appetito, ossia il desiderio di cibo, era così forte che è difficile da descrivere. Dopo aver mangiato, si sentiva più appetito di prima. A chi rivolgersi? Non c’era nulla per nessuno. Quel tantino di pasta e pane che si cercava di avere, aveva un sapore tanto strano che si riusciva a malapena a mandare giù. Volere o no bisognava nutrirsi.
I poveri genitori non sapevano dove battere la testa per comprare, anche a caro prezzo, un po’ di grano o altro. Una volta trovato rimaneva il problema della macinazione. I mulini erano tutti controllati. L’appetito aguzza l’ingegno e quindi si trovava sempre il modo per eludere i controlli. I negozi erano totalmente vuoti. Le afflitte mamme, spesso, si mettevano le mani ai capelli, soprattutto quando sentivano la vocina dei propri figli chiedere da mangiare. Quasi per istinto si correva ad aprire la credenza; ci si illudeva di trovare qualcosa da mettere sotto i denti, invece…niente!
Quei centottanta grammi di pane al giorno non bastavano neanche ai più piccoli. “Mamma ho fame“: sono lamenti che fanno piangere un genitore. Voi giovani che leggete questo scritto credetemi: ieri il pane mancava, oggi si butta!