Renato Di Nubila - Università di Padova
Carissimo Antonio, ho ricevuto il tuo “prezioso” volume e, forse non mi crederai, ho trascorso la mattinata a leggere fatti e racconti…con una certa commozione.
Un plauso sincero per questo tuo contributo, da appassionato autodidatta che, pur non conoscendo le complesse regole della Dialettologia, regala a Francavilla un respiro poetico che illustra uno spaccato di vita dei tempi che scorrono.
Mai come oggi – dopo tanta rigida censura dei dialetti in passato – la forma dialettale diventa oggi uno degli indicatori più caldi ed originali dell’identità di un popolo, quando la globalizzazione, pur con il favore di positive prospettive di sviluppo delle relazioni umane, sta comportando anche il rischio di un’omogeneizzazione di massa, minando le identità e le diversità delle nazioni.
In questo gioco di riemergenza dei dialetti, la poesia esprime tutta la sua forza conservativa e diventa “deposito dell’umano“. Così la narrazione e la poesia dialettale si presentano – non come storia da consultare – ma come sintesi forte di sentimenti, di emozioni, di voci della tradizione, anche se rischia a volte certo nostalgismo, come succede in qualche passaggio anche a te, Antonio.
Vorrei quasi arrivare a dire che voi “cultori dialettali“, siete come l’espressione moderna dell’antico “genius loci“, la mente e i depositari dei tesori di ricordi e costruttori di memoria di ogni contesto, come voce del tempo che va.
Il poeta Cesare Pavese definiva la poesia dialettale “il sapere dell’anima” a cui faceva eco Luigi Pirandello con l’espressione “il dialetto è il sapere del cuore“!
Potrei citare più di un passaggio delle tue poesie e dei tuoi racconti per confermare tutto ciò.
Avanti Antonio e continua con queste tue buone intenzioni, nella consapevolezza che la tradizione è forza che aggiunge valore, se aiuta le persone a vivere il presente e a prepararsi al futuro con dignitosa responsabilità.
Non aspettarti subito, però, applausi e grandi consensi: fare uso del dialetto che molti vivono come retaggio privato, intoccabile, può suscitare qualche scatto di gelosia!
O perché il dialetto non è sempre subito comprensibile.
“Il dialetto va prima masticato, per essere meglio assaporato!”, dice un poeta dialettale romagnolo.
Anche il nostro grande Albino Pierro, tursitano, non ebbe sempre tutti i consensi che meritava, ma con il tempo grandi studiosi gli hanno tributato apprezzamenti tali da candidarlo al Premio Nobel che avrebbe potuto raggiungere se non fosse intervenuto la gelosia di qualcuno!
Grazie ancora, come Francavillese, per questo tuo contributo di attaccamento alle nostre radici, facendole conoscere meglio, non fermandosi solo a celebrare il passato, ma offrendo spunti di vitale orgoglio al presente che avanza con tante non facili complessità.
In questo senso, bene hai fatto ad affiancare la traduzione in lingua italiana ufficiale, con l’aggiunta del glossario finale. Tutto può concorrere ad arricchire la portata valoriale del tuo dialetto.
L’unica pretesa di questo mio messaggio è quella di incoraggiarti a proseguire nella tua generosa dedizione dialettale, come gesto di attaccamento a questo nostro Paese.
Buon lavoro e un abbraccio