Armando Lostaglio
“Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera, il nuovo amore getti via l’antico nell’ombra della sera…” È “La canzone dei dodici mesi” che Francesco Guccini cantava (ispirato al quattrocentesco Agnolo Poliziano) in una lontana stagione di belle speranze, chissà quanto tradite.
Era il 1972, e i giovani nutrivano pensieri e canzoni, in un futuro immanente e ammiravano le “Vaghe stelle dell’Orsa” di Visconti e prima di Leopardi…
È l’incipit di una non nuova riflessione rivolta al maggio che caldo che viene, di speranze mai sopite, e dei segni di rivolta da oltre 60 anni in qua.
Quanti giorni sereni di primo maggio trascorsi nell’adolescenza senza tempo, il cui tempo era dedicato ai sogni e alle stelle, lanciati come le monetine dei giochini sulle direttrici sghembe di quegli anni lontani da innamorati senza speranza e senza tregua.
È tutto un fondo metafisico nei riflessi dell’anima…

Non che sia un consunto copione intinto di nostalgie, di certo tutto appare come una dolenza dei vinti, di ciò che si è e di ciò che si desiderava essere, una leggera dolenza che si muove alla ricerca di un’epica dei sensi, forse attenuata appiattita dal consueto adagiarsi dei giorni.