CineClub Vittorio De Sica Cinit
Picerno. Si terrà Venerdì 29 luglio ore 18:00 presso la Torre Medievale di Picerno la presentazione del libro di Patrizia Bianco Radici lucane (Santelli Editore, pagg.300, 2020). Sarà il sindaco Giovanni Lettieri a portare il saluto della cittadinanza, che ha patrocinato l’iniziativa cultuale, mentre discuteranno con l’autrice il prof. Santino Bonsera presidente del Circolo Culturale Silvio Spaventa Filippi e il critico di Cinema Armando Lostaglio; hanno patrocinato l’iniziativa la Fondazione del Premio Letterario Basilicata ed il CineClub “Vittorio De Sica” – Cinit.
La recensione del libro di Patrizia Bianco è di Armando Lostaglio.
Radici lucane è un itinerario riavvolto nel tempo; avvincente nella sua sottile missione di coinvolgere il lettore senza utilizzare enfasi eccessive, espedienti che minimizzano la valenza introspettiva. Il viaggio come armonia elegiaca che tuttavia ci rapisce. L’autrice potentina, Patrizia Bianco, in questo corposo volume, ci regala l’affresco di un tempo trascorso ma non remoto, vivo in chi si muove sui percorsi annosi di una età spesso inghiottita dall’oblio; e tuttavia, per nulla nostalgica. L’ambiente è Matera, città millenaria che funge da equa dimensione di una lucanità arcaica. Ma il paradigma avvolge anche borghi altri (muovendo da Genova) verso un sud di sofferenze e sottomissione, di migrazioni e ritorni. Del resto, le donne di Patrizia riescono a riscattare l’ancestrale bellezza di una fecondità mai paga, in un divenire misterioso e quantunque di speranza. L’io narrante è la giovane Teodora, curiosa e volitiva nel carpire i segreti dal cassetto dei dolori e dei rimorsi. E poi Fortunata, Cettina, Diletta. E gli uomini: Beniamino, Cosimino, Paolo. Patrizia Bianco sa incastonare le tessere di una storia che da personale diventa collettiva. Ogni capitolo porta con se quei nomi. Microstorie di fatica e di rimpianti, amori sospesi e affetti materni inespressi. Tutto diventa gioia del racconto, sincero quanto armonioso. Geografia dell’anima: nord e sud, ancora una volta in simbiosi ed antagoniste per volere del Fato. Simulacri di un tempo non remoto si affollano come per reclamare una esistenza, strappata via troppo in fretta dalle esigenze di una Storia che osserva a distanza quelle anime piccole agitarsi intorno. “C’è perfino l’assenza di movimento, che rende mitologico il vivere degli individui perché li sottrae all’urto del divenire”, scrive in prefazione Giuseppe Lupo.
“Si vede che il mio destino è veder partire gli altri e restare ad aspettarli tutto il tempo”, sussurra zio Compare, emblema di quella dimensione che richiama immagini da “Anni ruggenti”, capolavoro che Luigi Zampa ha ambientato proprio a Matera (1962): come in uno scatto di antropologia visiva, risalgono dai gironi danteschi dei Sassi volti segnati dalla sofferenza millenaria, donne e bambini nati già vecchi, tutti ad ambire spazi di luce. E un cielo che da grigio prenda forma di nuvole e si squarci in un azzurro profondo; rinascita quale atavica tautologia di esistenze segnate ma non del tutto rassegnate.