Enza Berardone
Gadamer sosteneva che la cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande. La parola cultura deriva dal latino e significa coltivare, prendersi cura, trasformare, rendere migliore la realtà che ci circonda, mettere in gioco ciò che si sa e ciò che si sa fare.
Spesso, così come accade con la politica spettacolo, che ha perso ogni valore ideologico e progettuale, anche nel mondo della cultura si predilige la passerella, tant’è che molti intellettuali fanno fatica a dismettere i panni dei narcisisti, interessati soltanto alla propria affermazione personale, a scapito della collettività, la quale avrebbe bisogno di una cultura della fratellanza, del valore della diversità, di un’unica solidarietà.

In questi giorni l’Associazione di Volontariato Castronovese ha promosso una serie di iniziative all’insegna di una reale cooperazione e partecipazione da parte dei giovani, artefici consapevoli del proprio destino, e non più percepiti e considerati soggetti passivi, avulsi da qualsiasi contesto sociale e politico, legate oggettivamente anche al territorio e a tutte le sue problematiche di natura morfologica, culturale e politica.
Un territorio senza cultura, intellettuali, idee, vuoto di giovani è un territorio povero, ferito, senza identità, senza futuro. Il nostro è un paese agonizzante, imprigionato in un immobilismo umiliante sia politico che culturale. Il 23 Agosto, il presidente, i soci e gli amici dell’associazione hanno realizzato dei laboratori tematici, idea suggerita da Francesco Di Sirio, docente castronovese, residente a Bologna, con l’intento di individuare ed affrontare dialetticamente problemi legati allo spopolamento, ai bisogni e ai disagi dei giovani, che vivono nelle aree interne, desiderosi di trovare un lavoro che li renda liberi e che non sia un mero strumento di sopravvivenza, legato al bisogno e alla necessità.
Si è discusso anche sulle possibili soluzioni, su cosa fare per ridare linfa vitale ai nostri luoghi fisici e mentali, come riattivare le energie positive di tanti giovani, ai quali, spesso, viene preclusa la possibilità di esprimersi, di suggerire, creare e progettare. Non può esserci crescita, riscatto, cambiamento di un territorio se non c’è conoscenza e senso di appartenenza; ci si può riappropriare dello spazio in cui si vive, soltanto se lo si conosce. È stata una vera e propria chiamata alle armi della coscienza, che si è concretizzata nel fissare le priorità del paese e del territorio.
La partecipazione dei giovani è stata attiva, numerosa, preziosa, i quali si sono interrogati, interfacciati, e poi confrontati con rappresentanti e coetanei di realtà lavorative limitrofe. Dal confronto è emerso che necessitano un’etica della responsabilità, contenuta nell’espressione I CARE, mi sta a cuore, mi prendo cura, una politica dialogante, partecipata, che dia voce a chi non ce l’ha, che si faccia carico dei problemi di tutti, desiderosa di progettare e valorizzare tutti i giacimenti culturali con diversa valenza (storica, antropologica, religiosa) di cui è ricca la nostra terra.
Si è rafforzata notevolmente l’idea di dare vita ad una economia della cultura e del turismo, perché con la cultura si pensa, si riflette, si inventa, si dialoga, si cresce, si mangia. La bellezza può essere la finestra da cui guardare in modo nuovo a politiche che interessino il territorio, alla rigenerazione urbana e alla tutela dell’ambiente. Commovente è stato il modo di raccontare e di raccontarsi dei ragazzi che hanno portato, condiviso con tutti la propria storia, esperienza di studenti e lavoratori fuori sede, sperimentando “la nostalgia del possibile” di cui parla C. Pavese.
“Le generazioni non invecchiano, ogni giovane di qualunque tempo e civiltà ha le stesse possibilità di sempre” e quelle possibilità si sintetizzano in tre opzioni: andare, restare, o tornare. I vicoli, le strade, le piazze del paese sono rinate, vestite a festa hanno abbracciato tutti, ubriache di vita e futuro; tutto è stato possibile, vissuto appieno con gioia e condivisione: teatro con il Kollettivo 69, musica con il gruppo la “Bolognina Social Club”, dibattiti, cena di comunità, danze popolari.
È così che si arriva insieme a fare anima. Grazie alla caparbietà, alla passione, alla capacità di sognare ancora, al coraggio e all’empatia di un gruppo nutrito di persone, Castronuovo ha sperimentato un nuovo modo di stare al mondo, un nuovo modus operandi, una diversa e tenera maniera di cullare i pensieri e nutrirli di futuro e speranza, il pensiero è un rapporto d’amore con il fato, è comunità con gli altri esseri. In fin dei conti siamo dialogo, pensiero, ragione che si interroga ed interroga, alchimia di significati, tempo, o meglio temporalità vivente, speranza, sogno, possibilità. “Quel che più conta è di non essere noi stessi, o meglio è esserlo essendo altri, vivere in modo plurale come plurale è l’universo”.