Armando Lostaglio
“DON FRANCESCO MASI SACERDOTE E STUDIOSO” – testo curato da Vincenza Lisanti e Lucio Saggese. –
Castelgrande. L’Associazione culturale Guglielmo Gasparrini di Castelgrande (Pz) ha celebrato nei giorni scorsi, in una chiesa Madre affollatissima, la figura di don Francesco Masi, ad undici anni dalla sua scomparsa, novantenne, che ha dedicato tutta la sua vita al messaggio cristiano e a diffondere – sia da docente in seminario che da rettore – la sua immensa cultura a partire dal latino e greco che padroneggiava sapientemente.
La celebrazione eucaristica, dai toni commoventi, è stata presieduta dal mons. Salvatore Ligorio Arcivescovo di Potenza Muro Lucano e Marsiconuovo, il quale ha manifestato il proprio apprezzamento per la figura di un sacerdote ancora così amato nel profondo del cuore dei suoi concittadini e di quanti lo hanno conosciuto.
Il parroco della chiesa, don Giuseppe Vivilecchia ha quindi introdotto il convegno, dopo i saluti del sindaco della cittadina dell’Appennino lucano, Francesco Cianci, mentre don Antonio Savona, vicario diocesano della Cattedrale di Potenza, nonché allievo di Don Francesco, ha tenuto una ampia relazione sulla sua profonda conoscenza di teologo e di intellettuale senza pari.
Al convegno, coordinato da chi scrive, ha preso parte ancora il nipote di don Francesco, Giuseppe Masi, figlio del fratello medico che operava a Napoli che ha manifestato l’affetto di una intera famiglia verso i Castelgrandesi.
Fra i diversi commenti, è stata lasciata la proposta di avviare un percorso di Beatificazione di don Francesco, che l’Arcivescovo Ligorio ha accorto con vivo compiacimento.
Per iniziativa del prof. Lucio Saggese è stato pubblicato il libro DON FRANCESCO MASI SACERDOTE E STUDIOSO (Adafor edizioni, pagg.171) che raccoglie numerose testimonianze di quanti lo hanno conosciuto, amato ed apprezzato.
Quanto segue è il personale contributo nel libro.
DON FRANCESCO è stato un asceta di sentimenti mistici, un sollievo di fede, al servizio degli altri. E’ stato il respiro del suo tempo ed ha vissuto la vocazione come un’ansia inestinguibile, avvolta nella sua serena meditazione. Il suo passo era leggero e dimesso, mentre ascoltava tutti con umiltà, e solo ogni tanto interveniva per parlarci del suo costante lavoro, di sacerdote e di intellettuale come pochi altri abbia mai avuto questa regione. Chi ha avuto la fortuna di incontrare la sua sapienza, la sua mitezza, la sua fede, non può che esserne orgoglioso. Siamo stati fra questi.
Avevo scritto questo commosso commiato dieci anni fa, quando noi tutti perdemmo don Francesco, volato in Cielo in un coro di Angeli. Scrissi anche l’articolo che segue, che pubblicai su vari siti e giornali. Ma forse meritava pubblicazioni ben più ampie don Francesco, su riviste nazionali ed oltre. Perché di persone simili ne nascono davvero poche in un secolo. Ma non era mai il caso di farglielo sapere: la sua umiltà non lo permetteva, e forse era proverbialmente eccessiva. Uomo di altri tempi, ovvero, un uomo senza tempo. Come i veri intellettuali sanno essere.
Avevo avuto l’onore di conoscere ed apprezzare le sue immense capacità intellettuali, che metteva al servizio di tutti, e grazie al compianto don Giustino D’Addezio e al professore Lucio Attore che da editore pubblicò un suo libro. Fra gli anni ’90 e il Duemila mi recavo spesso a Muro Lucano, ospite dell’Istituto Comprensivo. Era diretto dal Preside Arcangelo Pizza, il quale mi faceva presentare molti film, al Cinema Roma, che ritenevamo didattici per i suoi alunni, mentre alcuni di essi ancora me lo ricordano. Il rapporto con Muro Lucano e Castelgrande è stato alquanto proficuo già in precedenza: l’allora assessore Antonio Mennonna mi aveva introdotto al cinema Roma con film cui trarne un dibattito pubblico. Quindi, con l’Istituto comprensivo molti altri film e conseguenti dibattiti, mediante l’ausilio della professoressa Costantina Gliubizzi, che hanno creduto nella forza pedagogicamente trascinante del Cinema. E così, ad ogni giornata di proiezione era quasi un obbligo, ovvero un inestinguibile piacere, passare da don Francesco, sua sorella Maria e il caro Michele, ora tutti in un posto auspicabilmente riservato in Paradiso.
La prima volta che approdai nella sua casa-pensatoio mi apparve come una chiesetta diversamente mobiliata, un museo casto. Mi accompagnò nella biblioteca, avvertii un senso di ordine, di purità interiore. Don Francesco li aveva letti “quasi tutti” confidava: centinaia di libri custoditi con una metodica certosina.
Ordine, come dall’etimo latino: _ordo_, ossia linea, successione di idee e di esperienze. Perfino testi di cinema, disciplina cui riuscivo a parlare con don Francesco: a tavola con poche parole, mi spiegava sensi e significati, linguaggi e significanti, con l’adorato Ingmar Bergman e la sua ricerca di fede. Ma anche Fellini e il neorealismo, la commedia e l’arte, con la fantasia che ne scaturiva. Lui che da bambino chiese ai genitori di regalargli il libro di Pinocchio di Collodi, l’effige che sua sorella Maria custodiva come soprammobili.
Quanti confronti ed articoli mi ha ispirato don Francesco, con la lettura dei suoi libri dedicati a Castelgrande: “La via del grano” (del 2006) che lambiva i Comuni dell’Appennino che guardano alla Campania. E il monolite di Castelgrande: Don Francesco ci ha fatto scoprire una stele, un monolito che si erge altissimo in contrada Canalicchio, di cui, ci diceva, “sarebbe bene indagare con rigore scientifico: lo si fa risalire al megalitico. E’ forse un segno di arcaica religiosità, oppure rappresenta un confine, di certo si radica a terra con molta profondità”. Una presenza storica davvero insolita in questo luogo di montagna, nelle vicinanze della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, con la sua rarissima costruzione architettonica.
Grazie a Don Francesco, idee e approfondimenti. L’ultima volta che incrociai il suo sguardo per qualche attimo è stato pochi giorni prima che ci lasciasse. Ero andato, con mia moglie, a Castelgrande – sapevo che viveva i suoi ultimi respiri – e quasi non apriva più gli occhi. Appena sentì la mia voce li riaprì, solo per dire “Lostaglio” (così mi chiamava spesso). Mi riconobbe. Poi li richiuse. Il ricordo mi attraversa come un brivido di commozione.
Ricorderò don Francesco come insegnamento nell’aforisma di un altro grande intellettuale cristiano, Giorgio La Pira, che scriveva:
“Dovremmo considerare il bisogno, le malattie e lo squallore come nemici di noi tutti, e non come nemici con i quali ogni individuo può cercare. una pace separata“.