Armando Lostaglio
Alla 80ª Mostra del Cinema di Venezia, tre dei sei film italiani in concorso trattano della città di Roma, delle sue contraddizioni e della sua non più “grande bellezza”. Infatti, parliamo di rappresentazioni di una violenza estrema, di una “suburra” sempre in atto in questa città fra le più belle del mondo, che invece questa mostra espone in una maniera eccessivamente modesta e disordinata, oltreché buia e quasi senza speranza.

È una capitale che, suo malgrado, rappresenta lo specchio di questo paese, in un tempo di cui siamo protagonisti. Il film di Saverio Costanzo “Finalmente l’alba” evidenzia una Cinecittà degli splendori, fra sandali e ricostruzioni storiche faraoniche, film di antichi romani in cui, negli anni 50 e 60 venivano girati molti film: Roma era la capitale del mondo del cinema. E fra comparse appetenti, fra festini ed inizi di dolce vita, talvolta si sfiorava la tragedia; orge e catarsi buie e, nel fondo, il caso Montesi, la ragazza che fu trovata uccisa da ignoti forse nelle feste sadomaso.
Altro film è “Adagio” di Stefano Sollima: una sorta di apocalisse dei fuochi all’orizzonte e i continui blackout, incendi che circondano la capitale in un cortocircuito in cui la metropoli è il terminale di una specchio di arroganze impunite; bande armate che si fanno guerra per il controllo della città, un mondo di mezzo in cui anche la politica fa la sua parte devastante, e tuttavia rimane un film déjà-vu, che abbiamo già visto, pertanto inutile che il regista continua a mettere in mostra, dopo aver rappresentato molto bene Suburra con i suoi angoli bui.

La città capitale ancora presa di mira dall’altro film quello di un giovane Pietro Castellitto (figlio d’arte) dal titolo “Enea” in cui i circoli viziosi e le serate sballate nella capitale restano nello spazio allucinato delle iperbole angoscianti. Una sorta di nichilismo apparentemente romantico fra spaccio di droga omicidi e una sorta di violenza eccessiva e gratuita: un’alta borghesia romana assente quale interprete di una società oltraggiata. In questo film resta assente la famiglia, al cospetto di una sorta di necrosi di una città che invece dovrebbe brillare per i suoi colori per la sua bellezza.
Ed ancora, Matteo Garrone nel film “Io capitano”, Edoardo De Angelis con “Comandante” e Giorgio diritti con “Lubo” sono altrettante finestre sul mondo: l’Africa la Svizzera l’ oceano Atlantico, dove si affrontano i temi di confine, di accoglienza, di segregazione e soccorso.