Ernesto Calluori
La presentazione del libro edito da Sovera Edizioni a cura di Benito Li Vigni, giornalista e studioso di storia socio – politica e di cultura meridionale, ha avuto luogo presso la libreria Pavese all’Eur dinanzi ad una folta platea. Sul palco giornalisti, insegnanti e alcuni giovani motivati con gli interventi e le domande rivolte all’autore. Quest’ultimo, ha introdotto l’argomento con la sua pacata cadenza palermitana, ripercorrendo la tragica fine del Giudice Falcone, soffermandosi, poi, sulla sua breve vita di Magistrato. L’autostrada era ancora nella piena luce di maggio e il sole, sopra l’orizzonte, sembrava fiammeggiasse prima di calare e spegnersi nell’acqua. Giovanni Falcone correva con la sua macchina blindata verso Palermo. Davanti e dietro di lui le macchine della sua scorta : otto ragazzi, angeli custodi del giudice più blindato. Accanto a lui Francesca Morvillo con il suo sorriso rassicurante. In quel momento, forse, a Giovanni Falcone sorse un dubbio che s’era posto in altre occasioni “non si capisce bene,ma qui è facile volersi molto bene o molto male”. Poi, all’improvviso l’autostrada sotto di lui si aprì come un cratere di vulcano e il suo corpo si spezzò nel sangue e nella morte. Era il 23 maggio 1992 . Falcone aveva cinquantatrè anni e credeva fermamente nel ruolo della magistratura. Un giudice che aveva le sue idee politiche, ma non faceva politica nella sua professione né tanto meno nelle sue sentenze. Era un uomo con un forte senso dello Stato. Era il periodo in cui il fenomeno della mafia era ignorato e considerato come fatto criminale. Ma l’impatto con Cosa Nostra non tardò molto e avvenne col processo contro le cosche del trapanese e il giovane Falcone, quantunque “debuttante” si mosse con consumata esperienza e determinazione. Il processo, che vedeva tra gli imputati don Mariano Licari, un vero leader mafioso, naufragò e fu sospeso nel momento in cui il pubblico ministero Falcone si accingeva ad usare in dibattimento le indagini bancarie e gli accertamenti patrimoniali, nei confronti di don Mariano e dei suoi amici. Alla fine del ’78 ritornò al Tribunale di Palermo con Rocco Chinnici, per una inchiesta sulla nuova mafia, quella dei traffici del riciclaggio e dell’eroina. Nel 1980 gli venne assegnata l’inchiesta sul clan mafioso degli Spatola, Gambino e Inzirillo e sugli intrecci che erano costati la vita a Boris Giuliano, al capitano Basile e al procuratore Costa. La sua visione globale del fenomeno mafioso preoccupò subito Cosa Nostra da ordinarne la sua eliminazione. Due mesi dopo la strage di Capaci, si ripetè la stessa scena infernale, ma stavolta a Palermo con Paolo Borsellino mentre stava per entrare a casa della madre in via D’Amelio. Era il pomeriggio di domenica del 19 luglio ’92. Una micidiale carica di esplosivo collocata dentro una 126, lo dilaniò e carbonizzò i poveri resti scagliandoli in un inferno di carcasse d’auto in fiamme. La stessa sorte toccò agli agenti di scorta di venticinque anni. C’era in Borsellino la volontà di andare avanti, di onorare il giuramento intimo e solenne, assunto davanti alla bara di Giovanni Falcone. Sosteneva che si dovesse affrontare la lotta alla mafia con un’azione più ampia e complessiva allo scopo di penetrare all’interno dell’organizzazione e delle strategie di Cosa Nostra. All’interno di questa convinzione c’era l’assoluta necessità di promuovere il “pentitismo” con appositi provvedimenti legislativi. Le esperienze accumulate da Falcone e dagli altri magistrati impegnati nella repressione del crimine organizzato servirono a varare un complesso di interventi che andavano dalle modifiche in tema di arresti domiciliari e di termini di custodia cautelare. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno pagato con la vita il loro coraggioso e straordinario impegno, rivolto a sradicare quel sistema criminale chiamato Cosa Nostra fortemente colluso con certi settori della politica, con poteri occulti e parti deviate delle istituzioni. L’Autore Benito Li Vigni, ha concluso con una chiosa : Falcone prima di morire disse “ Fino ad ora abbiamo lavorato per costruire una stanza pulita… Purtroppo ci siamo accorti che serve poco a lavorare alle pulizie di una sola stanza se ci sono passaggi che portano ad altre stanze sudice che salgono su”. Falcone e Borsellino sono stati “fermati” mentre si accingevano ad entrare in quelle stanze sudice.