Armando Lostaglio

Gioca con la penna mediante storie in “agrodolce” Michele Libutti, con pagine colme di episodi semplici quanto riflessivi. Come è nel suo stile, del resto, come nei precedenti quattordici lavori pubblicati in questi anni di intensa attività letteraria; lui che ha mutuato l’impegno di medico e scrittore da precedenti tanto illustri (Cronin in primis, forse?). Eppure Libutti non è da meno, nella maniera di raccogliere i messaggi che lancia la strada, o il suo stesso studio medico, o le reminiscenze di lunghi decenni di apprendimenti, classici quanto scientifici. Gli oggetti e le persone rivestono la funzione di mediatori ed in una certa profondità rimandano a ciò che eravamo, a ciò che siamo, a ciò che vorremmo essere.
La scrittura di Libutti ci allontana dal nostro panorama consueto, orlato dal ricamo sdolcinato dei colli che ci videro crescere e maturare: ci conduce in universi altri, in cerchi concentrici, o ad ellissi che probabilmente ci relazionano sempre qui, dove si è nati e cresciuti. Ma i voli dei racconti così argomentati consentono di andare ben oltre, verso umanità che altri scrittori o grandi registi (Woody Allen, Altman, Scola) hanno saputo conferire con una portata più universale, parlando di vita e di morte senza la tensione dovuta.
Non si comprime in situazioni anchilosate la sua scrittura, fa discutere del tempo e della vita, delle occasioni mancate (come in quella riscoperta cui però l’autore evita di “alzare l’asticella” per pudore). Ecco, dunque, è qui che Libutti conserva quella necessaria morigeratezza per assecondare (ma non assoggettarsi) una espressività collettiva che tende a mantenere equilibrio e moralità.
Scrive Deana Summa in prefazione: In questo nuovo libro
“i personaggi che prendono corpo nelle storie sono di fantasia o liberamente ispirati a parroci, professori, ingegneri, disoccupati, medici… Capaci di bieche meschinità da trivio sanno, però, anche interrogare l’imperscrutabile, discettare del male, della natura dei sogni, dell’eternità, della morte… E si sorride anche della morte, non solo non temibile ma quasi desiderabile in quanto ‘unico viaggio gratis della vita…’.”
Vige infine una gradevole semantica anarchia, un filo rosso che collega i suoi precedenti paesaggi umani, ricchi di animali e cose, di persone e manie, dal sapore mai nostalgico di quel che eravamo. Ma forse di quel che potremmo migliorare, dentro e fuori di noi.
Non lasciatevi impressionare di Michele Libutti
(Ed. Nuova Prhomos, pagg.158, 2017)