Un capolavoro, al Cinema Lovaglio di Venosa, ancora per qualche giorno Killers of the Flower Moon diretto da Martin Scorsese

E’ un film maestoso quest’ultimo lavoro di Martin Scorsese: con “Killers of the Flower Moon” scende ancora una volta nei meandri della natura umana. E mette in luce il peccato originale di una grande nazione, gli Usa, che nasce da un genocidio, quello dei nativi (oltre che da una guerra civile).

Armando Lostaglio

La vicenda narrata – in tre ore e mezza di coinvolgente visione – ci conduce ad un secolo addietro, quando la popolazione più ricca d’America era quella degli indiani Osage dell’Oklahoma. Siamo nella epopea della scoperta degli idrocarburi, risorsa più importante del pianeta, quale motore propulsivo di un progresso accelerato. E proprio sotto quel suolo “riserva indiana” per quei nativi, furono trovati enormi giacimenti. La sorte si volgerà a favore (apparentemente) di quelle popolazioni ritenute selvagge e da conquista con nefasti genocidi (raccontati in molti film anni ’70 a partire da “Soldato Blu” di Ralph Nelson).

cinema Lovaglio Venosa

Si vedranno così Indiani girare in auto ed ostentare lusso, vivere in case ricche e permettersi autisti e cameriere, mandare i figli a studiare nelle migliori scuole d’Europa. Martin Scorsese sa fare grande cinema, coadiuvato sul set da star di prim’ordine come Robert De Niro (al decimo film con il regista italo-americano) e Leonardo DiCaprio (al suo sesto film con lui). La sceneggiatura il regista la redige con Eric Roth e la trae dal saggio di David GrannGli assassini della terra rossa” edito in Italia da Corbaccio (2017).

Il libro pone in primo piano l’inchiesta di alcuni investigatori inviati dal governo a seguito di segnalazioni di troppe morti sospette fra gli Osage, i quali non si rassegnano di vedere le loro famiglie oggetto di attenzioni speculative più che sentimentali da parte dei bianchi, intenti a perpetrare un ennesimo genocidio, lento e costante, per il possesso dei ricchi territori. Nascerà proprio da tali investigazioni ed in questo periodo la Fbi. Martin Scorsese capovolge il punto di osservazione, ponendo in primo piano la vicenda passionale ed umana del giovane Ernest (DiCaprio) con la nativa Mollie (la straordinaria Lily Gladstone). Dunque, la storia d’amore fomentata dal cinico Bill Hale (De Niro) zio di Ernest, allevatore di bestiame e amico-benefattore (solo in apparenza) degli Osage. In verità, è l’anima nera del racconto: induce ad assassini ed incendi, si definisce massone, e senza alcuno scrupolo miete vittime pur mantenendo un aspetto gioviale quanto ipocrita.

Tre ore e mezza resta l’equa misura di una narrazione che, fra canti indigeni in sottofondo, lingua madre e sogni “infantili” di un popolo pacifico, sa prendere lo spettatore fino in fondo. Un nuovo atto d’accusa verso i bianchi che in quelle terre hanno visto sempre popoli da conquistare e non “con-cui-stare”. E il petrolio come oro nero ha contribuito ad annientare oltremodo qualsiasi sentimento di evoluzione e convivenza, piuttosto quale maledizione e razzismo, peraltro turbinosamente raccontata nel capolavoro “Il petroliere” di Paul Thomas Anderson nel 2007. Scorsese torna a parlare di una tragedia tutta americana delle origini, come ha già fatto nel 2002 con “Gangs of New York”.

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