Armando Lostaglio
“Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera, / il nuovo amore getti via l’antico nell’ombra della sera…”
E’ “La canzone dei dodici mesi” che il poeta Guccini cantava in una lontana stagione di belle speranze (chissà quanto tradite), oltre quarant’anni fa (era il 1972). Quei giovani nutrivano speranze fra pensieri e canzoni, e ammiravano le “vaghe stelle dell’Orsa”, un capolavoro di Visconti. Troppi anni ci separano da stagioni nelle quali si aveva l’ambizione di costruire la storia giorno per giorno.

In questo maggio un po’ freddo, con la primavera che “intanto tarda ad arrivare”, come nel verso di Battiato “Povera patria”. Ed ancora cantava “…cambierà, sì che cambierà”. Ci si guarda intorno in questi borghi che sembrano avviluppati in spirali dinamiche, seppure appaiano immobili: il tempo passa su di essi lasciando un segno spesso deleterio.
La linfa vitale, quella dei giovani che dovrebbe sorreggerne le ambizioni, è talvolta soggiogata come per una
“i minimi atti, i poveri / strumenti umani avvinti alla catena / della necessità, la lenza / buttata a vuoto nei secoli”.
“Non lunga tra due golfi di clamore / va, tutta case, la via; / ma l’apre d’un tratto uno squarcio / ove irrompono sparuti / monelli e forse il sole a primavera. / Ma i volti non so più dire”.

Quei volti che dovrebbero sorridere a primavera, perché il verde si rinnova e “le piante turbate inteneriscono”. Ci saranno pure dei possibili colpevoli in tutto questo, in un minuscolo disfacimento di valori e di saperi? E’ probabile che si ritrovi in ogni meandro della vita quotidiana, in questo ed in quello che decide le sorti di una comunità, in quelli che hanno sbagliato le scelte nei precedenti lustri, in quelli che sono lì e che non meritavano di stare lì. C’è sempre qualcun altro da investire della sua irresponsabilità.
