Armando Lostaglio

Di recente si è celebrato in un convegno, a Rionero in Vulture, l’insieme di alcuni uomini che da mezzo secolo in qua hanno espresso, ciascuno per il proprio ruolo, l’intrinseco valore di viris illustribus a vantaggio della comunità. E, talvolta, anche della propria. Personalità che, indubbiamente, hanno inciso nel tessuto sociale politico e culturale della cittadina, con risonanze anche regionali.
Rileggendo di recente Catone, homo novus, abbiamo ritrovato un passaggio significativo della sua attività culturale e politica, che ci è parso calzante con la capacità di una realtà in grado di esprimere talenti e figure che la rappresentino. E questo sull’onda lunga dei “viris” che proviene dall’epoca romana decantati da Cornelio Nepote, da Svetonio, e nel secondo millennio da Boccaccio e da Petrarca.

Catone, dunque, fu “polemista efficace, tagliente, accanito, cedeva scarsamente a meschinità personali”. Scrive questo lo storico Antonio La Penna che aggiunge:
“… egli partiva da una concezione secondo cui la grandezza romana era frutto non dell’opera di singole personalità eccezionali, miracolose, ma dall’opera costante, continuativa di generazioni di cittadini energici e disciplinati: è la concezione a cui si è dato talvolta, non senza buone ragioni, il nome di “storicismo” romano.”
Catone ha dunque saputo evidenziare l’importanza sociale di quanti operano nel silenzio, nell’ombra, che svolgono il proprio dovere fino in fondo: generazioni di persone oneste cui varrebbe sempre la pena ricordarne le doti umane, che si sono battuti fra miserie e guerre non loro, attraversando la storia nell’anonimato e nell’oblio. Anche a queste figure andrebbero erette statue ideali, encomi pubblici. Sono come i marinai e i guerrieri che in ombra seguono le odissee del loro Re, attraversando e rimettendoci la vita in silenzio: lo ha saputo decantare Lucio Dalla nella sua “Itaca”, bellissima. La microstoria è quella che fa la Storia, quella dei nostri padri e madri, figure di lavoratori, di braccianti e contadini, di emigranti che hanno vissuto da sfruttati al Nord e in città europee, che con il loro lavoro hanno ricostruito la Nazione dopo i disastri della guerra.

E tornando alla cittadina del Vulture, come Associazione culturale, scrivemmo queste righe all’allora Presidente della Repubblica, Napolitano, venuto a Rionero in Palazzo Fortunato, in occasione della apertura delle celebrazioni per l’Unità d’Italia:
“Benvenuto signor Presidente, in questa cittadina che ha dato i natali ad altri illustri rioneresi, a partire dal senatore Raffaele Ciasca – allievo dello stesso Giustino Fortunato – ma il cui fatiscente palazzo di famiglia sarà opportuno che Lei non ne sfiori la visita. Natali insigni ha dunque dato questa città , come il suo amico e compagno di partito, Nino Calice, ed ancora a narratori evoluti come Vincenzo Buccino e rioneresi “acquisiti” come Enzo Cervellino e Carlo Pesacane, intelligenze scomparse e di cui si avvertirà sempre l’assenza. Rionero è patria di figure dotte come il saggista Beniamino Placido, di musicisti celebrati all’estero come Juan Mecca (a lui intitolati monumenti ed accademie in Argentina), dell’eruditissimo ingegnere Giuseppe Catenacci e di una figura straordinaria, sempre del secolo scorso, come Maria Luigia Tancredi, una vita spesa al servizio dei poveri, anonima “madre Teresa”. Insomma, una terra questa di antico fermento, di vulcaniche espressioni storiche e sociali, nel cui panorama non può trascurarsi l’enzima del brigantaggio post-unitario e del suo fautore, Carmine Crocco. Poeti popolari come Cassese e Volonnino, ed ancora artisti come Falaguerra e altre figure ancora, tanti emigrati altrove. E poi l’economia: Rionero è stato luogo di industria e di artigianato invidiato altrove, un piccolo faro nel contesto regionale. Ma oggi sembra che vive un irreversibile declino.”