don Enzo Appella
Amici carissimi, vi scrivo dall’autoisolamento, che sto facendo a casa mia, essendo dovuto rientrare di fretta dall’Albania in seguito alle notizie di chiusure sempre più serrate, per cui avrei avuto difficoltà poi a muovermi per poter tornare. Ricorderemo per sempre che la Quaresima di quest’anno s’è tramutata in una quarantena sofferta! Ad oggi il famigerato virus, sbarcato già al centro-sud nella zona della capitale, Tirana, è arrivato anche nella zona nord, a Scutari, dov’ero a svolgere la mia missione.

Sento per telefono i ragazzi con cui ho condiviso giorni, cibo e preghiera; li sento piangere, ed è straziante, non tanto per la paura del contagio che, ahimè, si diffonde anche lì velocemente, quanto piuttosto per l’inasprimento delle conseguenze economiche già precarissime, come vi accennavo nella precedente lettera. Sono preoccupati perché nelle loro famiglie non hanno materialmente di che vivere, figurarsi le medicine per curarsi qualunque malanno, e non sanno come fare. Pure in Albania c’è il blocco di ogni attività e, quindi, anche quei lavoretti, tipici dei poveri, fatti per racimolare la paga a giornata e andare avanti, non ci sono più. Che dramma! Che angoscia! Chi ha un minimo di umanità non può girarsi dall’altro lato in questo momento. Farebbe una cosa di cui vergognarsi per il resto dell’esistenza. Anche perché, come sostenevano gli antichi, “il mondo gira” e, di fatto, sta toccando pure ai Paesi ricchi come il nostro. É questo il momento di dimostrare a quale livello di umanesimo ciascuno di noi si vuole collocare, vincendo il feroce “richiamo della foresta” a salvarsi ognuno per sé, a farsi ciascuno i fatti propri. «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà», aveva detto Gesù.
A sorpresa, gli Albanesi hanno organizzato un gruppo di medici e infermieri pronti a raggiungere l’Italia per dare una mano. Mi sono detto: loro hanno un sacco di guai e vengono qui!? Mi ha fatto riflettere l’affermazione del loro Presidente, che avrete sentito in televisione: «Non siamo ricchi e neanche privi di memoria…». Non vi nascondo che mi sono commosso! Per me è fondamentale questa logica che da tempo ho imparato dalle nostre suore Clarisse: «I poveri sperano aiuto solo dai poveri». È un momento doloroso per tanti, lo so, so che lo state pensando. In Italia stiamo già constatando la “mazzata”, magari nelle nostre personali situazioni non per tutti floride già in partenza o, comunque, nel nostro ambiente pur sempre di periferia: si sta allargando un cratere di chissà quali proporzioni e davvero questo spaventa perché nessuno può dire fino a quando. Ci aspettano giorni, forse periodi, non confortevoli e gli appelli alla solidarietà si moltiplicheranno da parte di tanti. Nulla sarà più come prima e, se saremo intelligenti, può essere un fatto positivo. Pensate davvero che il problema debbano risolverlo le politiche? Daranno anche loro il massimo di quel che si potrà dare, vedrete, sebbene anch’esse non sono in grado di compiere miracoli, e dobbiamo nutrire una sostanziale fiducia nelle istituzioni. Ma queste difficoltà, dovremmo ormai saperlo bene a furia di frequentare la scuola del Vangelo e i Sacramenti della Chiesa, si risolveranno solamente se il poco che abbiamo lo condivideremo con coraggio e senza starci a pensare troppo. É questa la rivoluzione che cambierà il mondo, datemi retta! Non ce ne sono altre!

Certo, condividere in un momento come questo, in cui si assaltano i supermercati per paura che il cibo venga a mancare e cose simili, ha il sapore dell’incoscienza, ma sarebbe una sana e santa incoscienza, rispetto a tutte le stupidaggini che pure noi nelle nostre esistenze combiniamo. Dio sa e abbia misericordia di noi! Vale sempre il principio biblico che la carità fatta al povero copre una moltitudine di peccati. Si tratta di vincere, dunque, la rigidità della mano chiusa e stretta. Tutto qua! Quando uno ha fatto un gesto di carità, sa perfettamente quanta fatica gli è costata lì per lì, magari ci ha pensato tanto prima di buttarsi, ha perso tempo a calcolare, s’è fatto venire il mal di cuore. Ma una volta aperta la mano ne ha provato una impareggiabile gioia interiore, quel “dolcissimo sollievo” che cura persino le nostre depressioni a causa degli egoismi spiccioli e raffinati che ci inabitano e ci rendono scure le giornate, sempre così tristi e insoddisfatte. Il gesto d’amore ci recupera pur sempre alla nostra umanità più profonda e ci fa sentire non inutili e incapaci, ma luminosi. É questa la cura che il Signore ci ha raccomandato per accogliere la sua salvezza che, in questi minuti preoccupanti, invochiamo, ciascuno a modo suo, per non vederci rapita la vita e gli affetti da un essere invisibile e così spietato.
Ieri sera una persona per telefono mi ha detto che è questa l’occasione in cui dobbiamo assomigliare un po’ più al Crocifisso: con le mani bucate per far passare nel grembo dei necessitati quel che abbiamo, poco o molto che sia, non ha importanza. Ha ragione: questo non può essere il momento in cui, spaventati, ci arricciamo ciascuno nel proprio possedimento sperando che non ci tocchi mai nulla, né malattia, né miseria, né guaio di sorta. Sarebbe un’illusione! La pandemia lo sta dimostrando. Questo è il tempo di non credere che, se dovessimo rispondere agli appelli alla solidarietà come quello che vi sto facendo, poi verrà a mancare a noi, ai nostri figli e nipoti. Pur vedendo concretamente i bisogni nostri e attorno a noi, dobbiamo sfidare una mentalità assurda che è pagana e non cristiana. Come? Dando con generosità a chi ci chiede. Cosa succederà? Una cosa bellissima, che tanta gioia procura. La Provvidenza non ci tradirà. Vedrete!

So che la prima lettera che ho scritto, finita come per magia sui circuiti mass-midiali, ha avuto un’accoglienza strepitosa. Molti mi hanno contattato facendomi tanti complimenti. Bene! É passato un mese e, come vi avevo spiegato allora, è arrivato il momento di non perderci in smancerie e chiacchiere inutili, perché si tratta di trasformare quei complimenti in atti di condivisione, mettendo mano al proprio portafoglio e dando quel che serve per coprire le spese della retta di un anno di un seminarista albanese povero.
Badate che sto bussando io in persona alla porta di ciascuno e, anche se provo un po’ di disagio e mi dispiace crearvene, ci metto la faccia: se fosse capitata a me una impellente necessità e avessi chiamato ognuno per nome per chiedere qualcosa, cosa avreste fatto? Non vi sareste girati, ma mi avreste guardato dritto negli occhi. Sono sicuro che mi avreste dato e anche con generosità, giacché non ho dubbi sull’amore che nutrite per me, nonostante i miei difetti. La raccolta che farò durante la Settimana Santa (contattatemi in qualche modo e vi spiego) sarà il frutto dei vostri digiuni quaresimali. Sappiatelo: Dio ve lo restituirà. Io ne sono sicuro.
Vi abbraccio con affetto, mentre prego per voi: Don Enzo