Mario Maurella
“Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce, Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla. Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.”
Nel giorno dell’insediamento di Joe Biden come quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America, in un Campidoglio nudo, causa covid, e ferito dall’ avvilente oltraggio consumatosi lo scorso 6 gennaio, le parole della poetessa afroamericana Amanda Gorman hanno colmato e rinfrancato un vuoto lancinante durato esattamente quattro anni.
Un’ esortazione di speranza e rinascita, redenzione e coraggio, rivolta ad una nazione ed al mondo intero, testimoni della minaccia a cui il terreno fragile della democrazia è stato sottoposto durante la funesta e sgangherata amministrazione Trump.
Al presidente Biden e alla sua vice Kamala Harris, prima donna a ricoprire tale carica, spetterà l’arduo mandato di rinsavire l’anima di un’America divisa, confliggente e lacerata; martoriata da una crisi identitaria che si protrae da troppo tempo e a cui si sono aggiunte altre due crisi, sanitaria ed economica, che hanno finito per esacerbare un tessuto socio-culturale ostaggio della faida quotidiana fra Repubblicani e Democratici, fra quello che gli Stati Uniti hanno sempre rappresentato e quella narrazione che, ciecamente, un presidente dispotico ha cercato di imporre.

Una missione complessa che avrà come punto di riferimento il dettato della Costituzione del 1787 in cui i padri fondatori prospettarono l’idea di un’unione perfetta fondata sul riconoscimento della libertà e dell’eguaglianza di tutti gli uomini. Una sempre “più perfetta” unione, l’ avrebbe poi ribattezzata Barack Obama durante la campagna presidenziale del 2008, un ideale verso cui tendere ed un fulcro attorno al quale ricostruire l’essenza pluralista, multiculturale ed aperta che ha caratterizzato l’America nei suoi secoli di storia, da Abramo Lincoln a Martin Luther King, da Bob Dylan a JFK.