Educare alla legalità (1^parte): mafie e feudalità.

resti della Certosa di Francavilla in Sinni
resti della Certosa di Francavilla in Sinni

Durante la nostra formazione scolastica, abbiamo sicuramente avuto modo di conoscere l’epoca medioevale e, certamente, l’abbiamo valutata come “epoca buia”, forse la più oscura di tutte.
Ancora oggi quest’epoca viene studiata come se fosse lontana anni luce da noi eppure, alcune sue caratteristiche, sono tutt’ora vive nella nostra società e continuano a determinare il nostro stile di vita, influenzando le nostre decisioni.
Il medioevo è stato definito da molti storici e filosofi “epoca del conflitto tra poteri”: non a caso, un grande filosofo e giurista, Hans Kelsen, dirà più tardi che il diritto e lo Stato si fondano sulla necessità di neutralizzare questi conflitti. Quello che Hobbes chiama “sovrano” e che Kelsen chiamerà “Stato o Ordinamento”, nasce dunque per volontà dei cittadini che rinunciano a parte della loro libertà e sovranità in favore di un primus inter pares (primo tra eguali) che possa garantire, mediante questa delega, il benessere di tutti i consociati.
Ritornando al conflitto tra poteri dell’epoca medioevale, dobbiamo subito ammettere che tale conflitto non lasciava alcuno spiraglio all’emergere della figura dell’individuo; non a caso si comincerà a parlare di individuo solo nell’epoca successiva, quella dell’umanesimo.
Sorge un altro interrogativo: quali erano questi centri di potere in conflitto? Erano innumerevoli, basti guardare ai feudi, alle signorie, ai ceti mercantili. Tali conflitti si riassumono poi in un conflitto di più ampia portata: quello tra Chiesa ed Impero, tipico ma non esclusivo dell’epoca medioevale.
Questa introduzione storico-filosofica si ricollega al tema che intendo affrontare in questo mio contributo ovvero, quale rapporto sussista tra feudalità e mafie. Ma meglio ancora: quale rapporto c’è, da sempre, tra Stato-Sovrano e criminalità organizzata.
Secondo molti studiosi, la feudalità rappresenterebbe il piccolo germe di ciò che noi oggi definiamo mafia, o meglio, criminalità organizzata. Vediamo perchè.

Astrologi medievale e Geometri al lavoro
Astrologi medievale e Geometri al lavoro

Il 19 luglio 1812 (non a caso esattamente 180 anni prima dell’attentato al Giudice Borsellino), il Parlamento Siciliano varò una Costituzione la quale, oltre a decretare l’indipendenza della Sicilia e di Napoli, si metteva in linea con il principio illuministico della divisione dei poteri.
Un testo sicuramente innovativo per quell’epoca, se non fosse per un “piccolo” dettaglio: la Costituzione aboliva in linea di massima la feudalità, ma stabiliva altresì una scappatoia per i signori feudatari ovvero che “tutte le proprietà, diritti e pertinenze feudali” rimanessero “in proprietà economiche individuali”.
Da questo punto di vista dunque, la costituzione siciliana fece un passo avanti e cinque in dietro.
Altra anomalia: sempre nel 1812 i Borboni, che si proponevano come sovrani riformatori e illuminati, per abbattere il fenomeno del brigantaggio, chiesero a veri e propri gruppi di uomini armati di dare la caccia ai briganti. Tali gruppi, col tempo, assumeranno grande importanza e cominceranno ad accentrare nelle loro mani la potestà militare sui territori, fino a diventare vere e proprie “compagnie armate”.
Sarà proprio dallo scontro di questi centri di potere (quello feudale salvato dalla costituzione, quello dei briganti e quello delle compagnie militari, volute dai Borboni) che prenderà piede e si affermerà la figura del mafioso.
Anche in Calabria il sistema era simile: i tanti privilegi concessi dal sovrano ai grandi feudatari tramite le cosiddette “immunità” che permettevano al feudatario l’esercizio della giurisdizione in nome proprio nel proprio territorio, favoriranno una forte radicalizzazione di potentati locali, retti da feudatari mediante il sistema tipico del vassallaggio il quale si incentrava principalmente su due obblighi fondamentali: l’assoluta fedeltà e il pieno sostegno militare al proprio signore. Insomma, i caratteri tipici del sistema su cui si basa la ndrangheta.

Santuario di Anglona affreschi
Santuario di Anglona affreschi

Uno dei più grandi storici della mafia, Sharo Gambino, ammette che: “l’atto di nascita della onorata società (mafia), porta la data del 1812”. Secondo Gambino infatti “l’abolizione della feudalità non modificò lo stato di possesso dei terreni, anzi, l’ordinamento agrario latifondistico ne uscì rafforzato e consolidato per il fatto che i possessi, che fino ad allora erano stati goduti a titolo feudale, si tramutarono in piena proprietà”.
Dunque i feudatari, pur decaduti dai loro privilegi con l’abolizione “formale” della feudalità nel 1812, continuarono a godere pienamente e in modo esclusivo dei propri possedimenti; in poche parole: ciò che prima era un loro semplice diritto di possesso, si tramutò in pieno diritto di proprietà.
La Puglia è una delle regioni in cui questa teoria sembra più che altrove confermata.
Il tarantino conobbe il fiorire del sistema feudale a partire dall’XI secolo, con la dominazione normanna e fin da subito il feudalesimo salentino manifestò una forte propensione al controllo serrato di tutte le potenzialità economiche e produttive del territorio. Il sistema adottato dai signori pugliesi fu quello del “banno” (diritto di bando) mediante cui si prevedeva, in loro favore, il potere di esercitare in regime di monopolio le attività di trasformazione dei prodotti agricoli.
Più tardi i signori si dotarono anche di un sistema militare organizzato, tant’è che il Principato di Taranto rappresenterà la manifestazione più eclatante della radicalizzazione del potere feudale, tanto da essere definito “Stato nello Stato”.
In Campania il germe della criminalità sarà altrove. Sarà infatti una società segreta a dare vita alla camorra.
Tale società segreta nascerà a Cagliari nel XIII secolo e si diffonderà più tardi in Campania e prenderà il nome di Kumar (dal termine usato nel Corano per indicare il gioco d’azzardo proibito). Nata con lo scopo di controllare il commercio via mare, si sarebbe poi diffusa nella plebe napoletana con lo scopo di pattugliare e dividersi i diversi borghi della città, mantenendo l’ordine pubblico. L’organizzazione sarà mantenuta in vita grazie prevalentemente a profitti derivanti dal gioco d’azzardo e alle tangenti. La camorra si diffonderà successivamente nelle campagne e poggerà su un sistema differente rispetto a quello siciliano, pugliese e calabrese; si organizzerà infatti in famiglie o clan, guidati da criminali che derivavano dagli strati più bassi della società e che venivano pagati da alti ceti sociali per il controllo delle bische e per commettere illeciti ai danni delle povere persone del popolo, come testimonia un documento dell’epoca: “cacciavan l’oro dai pidocchi”.

Palazzo delle decime Francavilla in Sinni
Palazzo delle decime Francavilla in Sinni

In Lucania la questione è diversa rispetto a tutte le altre. La particolarità lucana è rappresentata dalla forte presenza di feudi ecclesiastici (erano investiti di titoli feudali i Vescovi di Anglona e Tursi, di Campagna e Satriano, di Melfi e Rapolla e il Vescovo di Tricarico). Esercitavano inoltre giurisdizioni feudali i benedettini a Tramutola, i Basiliani, i Cistercensi, i Certosini (come a Francavilla) e i Gesuiti. Tale clima non permise la nascita di forme di criminalità organizzata dello stampo di quelle delle regioni circostanti. Non a caso, è il brigantaggio a fare da padrone, per un periodo abbastanza breve, nella nostra regione.
La storia, ancora una volta è magistra vitae (maestra di vita) e ci testimonia che alla base dell’attuale sistema della criminalità organizzata vi fu certamente la feudalità. La forte radicalizzazione del vassallaggio, soprattutto nel meridione italiano, permise certamente l’affermarsi e il diffondersi di forme di criminalità. Inoltre il sistema feudale non consentì allo Stato “sovrano” di affermarsi nel territorio e di svolgere la funzione per la quale era nato: neutralizzare i conflitti e garantire in questo modo ai propri sudditi/cittadini il godimento e la tutela dei propri diritti.
Non vi pare che anche oggi, soprattutto nel meridione, “patria delle mafie”, lo Stato non riesca ad affermarsi e a garantire la difesa dei diritti dei propri cittadini in favore del radicamento della criminalità di stampo mafioso?
A me pare di sì e questo mi permette di affermare che, forse, quell’epoca che studiamo a scuola come buia e che chiamiamo medioevo, non l’abbiamo mai superata del tutto.

 

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