Antonio Fortunato
Abbiamo pubblicato con il dovuto commento i ricordi di A. De Minco delle feste religiose che si svolgevano nel paese. Il capitolo odierno fa una sintesi appunto di come si vivevano le festività a Francavilla. E’ sotto gli occhi di tutti la differenza nei comportamenti, le relazioni umane, i costumi tra la vita sociale di allora e quella di oggi.
E, siccome siamo in prossimità delle celebrazioni delle nostre feste civili più significative e segnatamente il 25 Aprile, il Primo Maggio e il 2 Giugno, vogliamo fare qualche considerazione tra le ricorrenze civili degli anni ’30-’40 e quelle odierne.
De Minco ricorda il 24 Maggio, giorno in cui l’Italia entrò in guerra nel 1915. Il Fascismo esaltava la
Patria e la guerra. Per la verità questo anniversario è stato festeggiato fino ad alcuni anni fa.
Oggi non diamo molto peso alle ricorrenze civili, alle date sopracitate; per molti sono giorni di vacanza e basta. Facciamo poco per ricordare alle nuove generazioni i valori su cui si fonda la nostra democrazia. Man mano che passano gli anni il ricordo della conquista della Libertà, del diritto al Lavoro e dei principi fondanti della Repubblica sembra più sbiadito. Accanto all’ Inno di Mameli, bisognerebbe cantare anche Bella Ciao e l’ Inno dei Lavoratori.
Antonio Fortunato
Pubblichiamo il capitolo
“le feste religiose e civili”
Tratto dal libro: “Francavilla in Sinni”
Ricordi e considerazioni sulla realtà sociale, economica, politica, culturale, magica, religiosa…
di Antonio De Minco
Grandissima importanza era annessa alla celebrazione delle feste sia civili che religiose. Il tran tran quotidiano aveva un ritmo troppo monotono e ripetitivo: il tempo, come quarta dimensione dello spazio e la cui caratteristica è il movimento, era completamente statico.
Giosuè tentò di fermare il sole ed ordinò la luna di non avanzare, ma le motivazioni erano diverse. (Che contrasto di desideri)! La vita nei piccoli centri socio-agricolo-contadini era e penso sia sempre ossessiva: priva di qualsiasi elemento rivitalizzatore.
Per cui, all’infinita successione del sempre uguale, ogni interruzione di quella staticità costituiva motivo di rinnovamento spirituale e di ricomposizione delle forze (ammesso che si logorassero) ma mai, però buone motivazioni spingevano o creavano le condizioni verso altri orizzonti. La domenica, giorno di riposo e di interruzione di quel continuum meccanico, si presentava in quella luce magica di profonda attesa. Il vestito della festa, come prima ritualità, infervorava gli animi e dava inizio a quella vibrazione interiore che animava l’intera giornata, ma senza mai riuscire a esorcizzare il ritorno del vecchio schema di vita. Tutti o quasi si recavano presso la Chiesa parrocchiale per partecipare alle funzioni religiose. Il sentimento religioso non era ben distinto da altre motivazioni, che malcelate, spingevano alla imitazione ed alla tradizione. L’ostentazione dell’abito nuovo, la speranza di incrociare lo sguardo della ragazza del cuore, ostentare visibilmente la frequenza della Chiesa (cosa che era gradita dal sacerdote) erano le spinte interiori che ognuno, a modo suo e secondo la sua indole, realizzava.
La fase più importante di quelle mattinate, era l’uscita di Chiesa. Non tutte, ma qualche ragazza in compagnia dello stesso sesso, si spingeva verso la strada rotabile, per una breve e goduta passeggiata.
I giovani di ambo i sessi fremevano subendo le debite pressioni interiori, ma quello schema culturale non consentiva approcci che, peraltro erano inibiti a livello inconscio, per la sproporzionata timidezza.
Il ritorno a casa, per l’ora di pranzo, con la certezza di godere di pasti diversi dal quotidiano, costituiva il secondo aspetto della giornata festiva. I macellai vendevano carne particolarmente in quei giorni di festa; ogni famiglia o quasi, si permetteva il “lusso” di tale alimento.
Il sacerdote, in pompa magna, con paramenti festivi, incalzava dall’altare i fedeli all’osservanza dei precetti della Chiesa, dei comandamenti e del rispetto degli uni verso gli altri. Particolare era la predica fatta da predicatori, nella occasione della Pasqua e più precisamente nella settimana Santa. Le parole che costituivano la trama di quei discorsi, colpivano, ad arte, l’animo dei cittadini.
Evidenziare quegli atti atroci, compiuti dai nemici di Gesù, che realizzarono la sua crocefissione, colpivano profondamente l’animo dei francavillesi. Animo molto sensibile al rispetto della vita e molto sofferente di fronte alla morte. Si poteva notare con segni inconfondibili, quanto la gente sentiva quelle parole, il cui significato si fondeva nell’animo di ognuno, producendo grandissimo dolore. I visi di tutti ne erano l’espressione più verace e palese. Durante sempre la settimana Santa, visitando la Chiesa si potevano notare gruppetti di donne, anziane, che genuflesse ripeteva dei canti di dolore e di sofferenza, per la morte di Gesù.
Era una prassi consolidata e tradizionale l’uso dell’abito scuro o nero, vuoi per la morte di un congiunto, vuoi per l’età. Cosicché quei gruppi, con addosso il simbolo più eloquente della morte (l’abito nero), le loro cantilene aggredivano letteralmente la coscienza di tutti.
Ricordo uno di quei lamenti: “piangete, sorelle, piangete su su; piangete di cuore che è morto Gesù” “la settimana Santa non si canta, che Gesù Cristo è morto, in passione”.
Così quelle anziane donne andavano avanti per delle ore, intendendo così rivolgere il loro pensiero più affettuoso al Creatore e nelle cui intenzioni sottostava la speranza, mai tramontata, di un futuro migliore.
Tutte le festività oltre alla rimarcatura del senso religioso, creavano l’attesa della diversità del quotidiano.
Il complesso musicale, I fuochi d’artificio o pirotecnici, la proiezione di un film muto… .Nel largo della “pianura” venivano eretti due pali di legno al cui estremo superiore, 5 o 6 metri da terra, veniva esposto un lenzuolo bianco, su cui venivano proiettate le immagini.
Ogni cittadino provvedeva a portarsi da casa la sedia su cui sedere. Era uno spettacolo nello spettacolo: le animazioni che precedevano il film, quelle durante la proiezione, quando nelle interruzioni delle azioni comparivano le scritte che specificavano quelle azioni; il vocio confuso, le agitazioni, le considerazioni, le risate… tutto contribuiva ad animare quello spettacolo.
Ricordo un particolare film, intitolato: “maciste” la trama consisteva nelle vicissitudini di un uomo, molto forte dal punto di vista fisico, che dominava tutte le situazioni della sua vita.
Per analogia di aspetto fisico e non per avventura, quel nome fu appioppato ad un nostro concittadino, che gli rimase addosso, credo, fino agli ultimi giorni della sua permanenza su questa terra.
Il Natale ed il capodanno, tra fine e principio, completavano il calendario dell’arco annuale delle Sante feste. Nel corso dell’anno, certamente ricorrevano anche delle feste civili, soprattutto quelle che il fascismo esaltava con delle parate e manifestazioni varie.
Nel bambino, nei giovani e negli adulti e cioè figli della lupa, balilla, avanguardista e giovani fascisti il sentimento nascente, in quelle occasioni, era di altra natura, rispetto a quello religioso.
Il 24 maggio era un giorno di grandissima festa. Tutti in divisa, tutti orgogliosi di indossare una camicia nera, pantaloncini grigi, fez nero con nappina dello stesso colore e fazzoletto azzurro.
Nei cortei precedeva sempre la fanfara, che si esibiva in musiche patriottiche che esaltavano i sentimenti ed i proponimenti di fedeltà e di amor patrio. Durante la guerra, la patria chiese alle famiglie l’oro delle fedi di matrimonio.
I francavillesi risposero con entusiasmo e generosità. Le fedi vennero fuse davanti alla Chiesa Madre e a tutte quelle donne offerenti, venne ricambiata una “fede” in metallo bianco. Quell’anello rappresentò un simbolo molto significativo: fedeltà al regime fascista.
Antonio De Minco