25 Aprile: il prezzo della libertà

Mario Di Nubila
Mario Di Nubila

Alle ore 8 del 25 Aprile 1945, attraverso la radio il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia proclamava l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, che, con la resa definitiva alla forze alleate del 3 maggio, decretava per l’Italia, ma anche per altri Paesi belligeranti, la fine dell’immane conflitto mondiale e, per l’Italia, la fine di venti anni di dittatura fascista e di cinque anni di guerra.

I giornali italiani, primi fra essi, il Popolo, organo della D.C. e l’Unità, del P.C.I., con edizioni straordinarie annunziavano la cessazione della guerra. Su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, con decreto del Luogotenente del Regno d’Italia Umberto II si istituisce la festa per il 1946 fissando: “La celebrazione della totale liberazione del territorio italiano il 25 Aprile 1945 è dichiarata festa nazionale”, anche per gli anni successivi, istituzionalizzandola con la L. 27-5-1949 n.260.

Alcide De Gasperi
Alcide De Gasperi

Ricordare quella data significa evocare distruzioni, sofferenze, morti, eccidi, guerra civile, martiri del nostro popolo e di altri popoli, che, dopo la perdita della libertà, soffrirono orrori di ogni genere. Tempo, in cui la mostruosità assunse, anche, in territori occupati dai nazisti i caratteri dei campi di sterminio, con i forni crematori, che accoglievano gli “ospiti” con il beffardamente cinico “saluto”: ”Arbeit Macht Frei” (Il lavoro rende liberi !), in un insano programma di “soluzione finale!”. L’Italia riprende, faticosamente, il suo cammino di libertà e di ricostruzione della democrazia, sospesa per un ventennio, e l’ avvio effettivo di un governo del Paese, con una prima fase, che si esprimerà con il referendum per la scelta tra monarchia e repubblica il 2 Giugno 1946 – al quale furono ammesse per la prima volta, evento molto importante, le donne, già protagoniste nella lotta partigiana, nell’esercizio di diritti politici.

Con quel referendum nasce la Repubblica Italiana e si perviene alla stesura definitiva della Costituzione, con il contributo ampiamente costruttivo delle forze politiche, di schieramenti talora pure contrapposti, in un Parlamento liberamente eletto, sulle basi dei principi della democrazia e dell’antifascismo. E la Costituzione diventa carta fondamentale della convivenza civile del popolo italiano, ispirata a valori e tradizioni politiche portatori del “secondo Risorgimento”. E qui, con profonda emozione, ricordiamo l’incitamento, dalla straordinaria efficacia e vibrante ammonimento, di Piero Calamandrei agli studenti universitari di Milano il 26 gennaio 1955: “Se volete andare in

Piero Calamandrei
Piero Calamandrei

pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, perché lì è nata la Costituzione”.

E la Costituzione è la carta delle proprie libertà, l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, dei principi fondamentali del vivere civile, di libertà e di democrazia, che, per la loro universalità ed attualità, sono garanzia di civiltà e di pace per tutti i popoli.

Ma i valori della Costituzione sono attuati?

In un tempo in cui sembrano prevalere i disvalori e si accentuano le diseguaglianze sociali, la Costituzione corre il rischio di apparire quasi obsolescente? Tale rischio è da imputare per gran parte alla regressione della politica, che dissuade e spinge alla indifferenza politica, all’indifferentismo politico, che ad osservatori appare spesso quasi antropologico, il che non è verosimilmente vero, perché nella gente, nei giovani, in particolare, c’è ansia di partecipazione democratica, non di rado frenata o strumentalmente bloccata da una politica, chiusa in interessi oligarchici.

I progressi sulla via della democrazia, dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, hanno spinto menti illuminate ad una visione di pace, che, pur fra tante difficoltà e contrastanti interessi, ha portato verso una Europa unita attraverso impegnativi sforzi politici di uomini come De Gasperi, Adenauer, Schuman, Spaak, Monnet, vivificando la visione di una Europa politicamente unita del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli del 1944.

L’Europa ancora non è una entità politica, purtroppo, in quanto finora sono prevalsi interessi mercantili ed egoismi nazionali, ma l’unità conseguita dopo il conflitto ’40-’45, pur con tanti limiti, ha garantito, intanto, assenza di guerre in Europa per 70 anni. Siano monito alla consapevolezza dei governanti i dati di distruzioni e di perdite di vite umane di quel conflitto, perché queste non si ripetano; la sofferenza umana non è misurabile con dati statistici, ma giova ricordare: 55 milioni e mezzo di morti fra tutti i paesi belligeranti, di cui 415.000 italiani, quale “prezzo della libertà”!

Il processo di pace non sarà completato finchè tante “periferie” di discriminazioni, di povertà e di disuguaglianze non troveranno cittadinanza umana e solidale e la libertà non diventi soprattutto affrancazione dal bisogno.

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