Quando il sabato del villaggio

foto tratta dal libro di A. Capuano "Com'era bello... e com'è... il mio paese
foto tratta dal libro di A. Capuano “Com’era bello… e com’è… il mio paese

L’ultima volta che mi sono sottoposta alle cure del dentista, che è siciliano di origine, in un momento di rimembranze, egli si rivolse alla sua assistente così: “Elena, arricuogghiti addu ammia..”. Ne è seguita una breve, ma intensa disquisizione sul termine “raccogliti” usato nel meridione, talvolta in senso minaccioso, più spesso in senso protettivo dalle mamme.

Così ho cominciato a ricordare.

Ho risentito mia madre non solo rivolgersi a me, con quell’espressione nei vari predicozzi, ma anche quando, mentre cuciva sulla verandina di casa dal lato di via Certosa e, proprio all’imbrunire…”Rusì mo ti ricuoglisi, ei stet for ?” ” Sin Niculì, egg stet all’uort, egg fatt l’erv pì cunigli, egg cuot pur dui fiuri ca crei è lu Cuorps Domini… e tu non hei scapuet ancora?””mo, natu picc…” e così mia madre terminava il suo lavoro, mentre le sue apprendiste confezionavano le gonne e camicette che l’indomani le signore della montagna sarebbero venute a ritirare, dato il giorno di festa.

Flora Febbraio
Flora Febbraio

Nella zona di casa mia, via Certosa da un lato, e vico Rossini dall’altro, era un tripudio di attività artigianali e commerciali che sprigionavano energia ed anche una sorta di entusiasmo sebbene, dal lavoro manuale, a quei tempi, soldi se ne ricavavano ben pochi: la paga era fatta di scambi di prodotti o di favori reciproci. Quasi tutti i giorni, il vicolo e la strada diventavano un circuito dove alcuni personaggi, mica ragazzini, si rincorrevano in preda all’euforia di un bicchiere di troppo consumato all’osteria di ritorno dai campi, non senza qualche azzuffatina verbale e qualche scappellotto. Tutto accadeva indifferentemente alla presenza di una frotta di bambini.

Di quel piccolo mondo conservo tanti ricordi, il susseguirsi delle botteghe, delle abitazioni e i profumi del cibo che sfuggiva dalle finestre aperte d’estate. Ciò che mi attraeva particolarmente erano le attività artigianali, la creatività delle donne e degli uomini che lavoravano con maestrìa e ingegno. Così provenendo da via Roma e, superata la chiesa madre, procedendo in direzione “via nova vecchia”, sul muretto della discesa verso l’asilo delle suore dove giovani ragazze, imparando a ricamare, preparavano il corredo, ecco come in posa a cucire Gianbattista “a fanatic”, il sarto che prendeva le misure con la cordicella e poi faceva i nodi nel punto di misura, non conosceva il metro, ma poi i suoi abiti cadevano a pennello, per quei tempi! Poco più in giù c’era la filanda, che magìa vedere la trasformazione della lana! Quasi di fianco mio padre (Luigi Febbraio) batteva sull’incudine, ricordo ancora il ritmo del martello e lo “sfrigolìo” del ferro battuto arroventato quando lo immergeva nell’acqua. Appresso zio Carminuccio costruiva mobili mentre zia Filomena di sopra sfornava biscotti, “zi Giuvanni i Marc” faceva le botti e… “e e e com a fei”. Più avanti “zi Carpucc” risuolava le scarpe. Poi c’era un altro fabbro: Campitell. Più tardi arrivò anche il mulino. Risalendo verso destra, dopo il ponte c’era il negozio di zio Antonio e zia Minuccia Palluniello: un piccolo bazar in uno scantinato dove trovavi di tutto, dalla pasta sfusa e avvolta nella carta color carta da zucchero, al baccalà, ai chiodi e perfino buoni tessuti a metraggio. Dall’altro lato della salita la

Foto tratta dal libro "Lo sguardo ritrovato" di M. R. Romaniello
Foto tratta dal libro “Lo sguardo ritrovato” di M. R. Romaniello

macelleria di zia Rosina e zio Vincenzo “pulitico”. Sulla porta si metteva in bella mostra un particolare pezzo della bestia che avevano macellato. Da qui risalendo un altro pochino e svoltando a destra, che meraviglia! Si entrava nel vico Rossini: Zia Immacolata “a papuza”, tra un’imprecazione e un canto religioso, di pomeriggio decotricava i “vinchi” per farne cesti e cestini, così pure zia Rosina sacrestana. Zia Antonietta “a marc” lavorava con l’uncinetto e Zia Maria D’Ingiandi filava la lana con il fuso. Poi mi ricordo un altro personaggio: un uomo anziano, che viveva da solo, era sempre sorridente e raccontava storie a noi bambini, era un ex carcerato, gentile e buono come il pane. In fondo al vicolo, zio Giuseppe costruiva i basti per muli, cavalli e asini. Ai miei occhi di bambina appariva un personaggio misterioso, mi sembrava un gigante e poi con la sua benda su un occhio e il suo lavoro così particolare, mi induceva a pensare che potesse essere un mago. Ma, in quell’isola a farla veramente da padrona erano le voci di noi più piccoli, di diverse età. Giocavamo quasi sempre tutti insieme: Carmela, Camilluccio, Battista, Giuseppina, Mariuccia e rare volte Faluzzo , erano i fratelli Carelli; poi c’era Teresa, Eduardo e Felice Marziale; un po’ più grandi di tutti Antonio e Battista Grimaldi, Flora e Ninetta Febbraio, Franco e Luciana Pisani. A volte si univano a questa piccola banda altri bambini del Timpone o del Funcalone. Più tardi arrivarono anche Salvatore e Tania Pisani: erano i nostri Bambolotti. Fra nascondini, le belle statuine, la campana e giochi con la palla al muro (per le bambine), bottoni, “triccolo e mazza”, cavallina (per i maschietti), s’ingannava il tempo dell’estate e si viveva il nostro sabato del villaggio.

 

P.S. Chiedo scusa per i termini dialettali usati di cui non conosco la morfologia corretta.

 

 

2 riguardo a “Quando il sabato del villaggio

  1. Ciao Flora, la puntuale, realistica descrizione della vita del nostro amato villaggio mi ha regalato delle emozioni indicibili, te ne sono grato!

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