Il lavoro che manca: la pensione che cambia

 

elsa-fornero-piange-728640-620x350Il lavoro che manca, la pensione che cambia rappresenta una questione molto attuale che, in linea con i tempi, apre un ampio terreno di confronto. Nel mondo del lavoro, si registrano molti aspetti negativi con assunzioni – ad esempio – di lavoratori con prestazioni precarie per un lavoro che cambia grazie alle trasformazioni esistenti, nonché, alla rapidità delle comunicazioni e di un libero mercato. E’ cresciuto l’ impoverimento. La disoccupazione è aumentata. La criminalità dilaga. Il fisco tormenta il ceto medio, ristrettezze e disoccupazione vanno a braccetto. La globalizzazione sta diventando un dogma e non è quella che pensavamo, cioè una estensione nei Paesi in via di sviluppo. Lo smantellamento del welfare state è onnipresente, tant’è che la risposta economica alla globalizzazione è per sua natura nemica sia della stabilità che della sicurezza. Quadrare il cerchio tra crescita economica e società civile è certamente un compito politico-universale. Che tutti perseguano questo obiettivo o solo cerchino di perseguirlo, è una pia illusione. Le imprese, rivendicano la flessibilità che equivale ad una maggiore facilità nell’ assumere e nel licenziare, aumentare o diminuire i salari, mobilità selvaggia, prepensionamenti a 50-55 anni L’ articolo 18 (leggi Fornero…sic!) ha fatto il resto e stride con la realtà. Il termine che si usava un tempo –

Ernesto Calluori
Ernesto Calluori

Statuto dei Lavoratori – che annoverava i diritti dei lavoratori, sia il sindacato che il mondo del lavoro, non hanno riflettuto fino in fondo, non essendosi sforzati a coniugare la questione dei diritti moderni con i livelli del mondo d’oggi. Ad un quadro a tinte fosche, si aggiunge il rapporto Istat sui “trattamenti pensionistici e beneficiari“: l’assegno dei nuovi pensionati – quelli che hanno iniziato a riceverlo nel 2014 – è più basso di circa tremila euro l’anno rispetto a chi è entrato a far parte della platea degli oltre sedici milioni di pensionati degli anni precedenti. Anche qui c’è l’effetto della riforma Fornero che ha modificato il sistema di calcolo dal “retributivo” al “contributivo“. Che dire, poi, della frattura che esiste tra giovani ed adulti? I motivi sono tanti. Innanzitutto per un fatto demografico e l’invecchiamento della popolazione in rapporto al calo delle persone tra 18-35 anni e alle minori uscite per pensionamento dovute alla nuova normativa previdenziale. Le imprese, oggi, navigano su cicli brevi e vogliono personale subito e competente. Ci sono migliaia di over 50-55 senza lavoro che per rientrare in azienda sono disposti ad accettare stipendi più bassi e mantenere i figli disoccupati. Le imprese ne sono a conoscenza e li accolgono ben volentieri. Su tutto c’è una causa al problema: in questo disastro generazionale, in Italia – complice il Sindacatosi è permesso a tre pensionati su quattro di andare a riposo prima dei sessant’anni. Gli indicatori non mostrano segnali di miglioramento e lasciano presagire una caduta del reddito delle famiglie. Una realtà che si va facendo strada, alla quale molti giovani sono rassegnati è la prospettiva di dover lavorare fino a 75 anni, per avere una pensione inferiore a quella di padri e, forse, nonni. Povera Italia!

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