Antonio Fortunato and Antonio De Minco
Il 25 Aprile 1945 si concluse un periodo storico che va sotto il nome di Resistenza. Un periodo storico molto importante per il popolo italiano perché con la lotta al nazi-fascismo ha conquistato la libertà e la dignità di un popolo libero che il regime di allora aveva soffocato per un lungo ventennio.
Quella data viene celebrata ogni anno come la “Festa della Liberazione“, festa nazionale, per esaltarne e renderne attuali i valori nei sentimenti delle giovani generazioni. Infatti, grazie all’ unità delle forze democratiche e popolari, dopo la caduta della dittatura il nostro Paese si incamminò sulla strada della democrazia con la nascita dei primi Governi di unità nazionale, della Repubblica e della Costituzione.
Nei nostri piccoli comuni l’attività antifascista non trovava terreno fertile, anche se, e parlo di Francavilla, c’erano alcuni cittadini che covavano sentimenti anti regime, tra i quali Michele Canonico, Saverio Mangieri, Salvatore Pisani, Gennaro Cataldi, Vincenzo Console e il maestro di scuola Vincenzo Torrio, socialista ex compagno di Mussolini, confinato in una contrada del paese e poi tanti giovani.
Anche il nostro compianto De Minco era antifascista. Oggi pubblichiamo i suoi ricordi del Sabato fascista e il Dopolavoro. Il suo racconto è vivo e preciso e rievoca Carlo Levi quando nel suo “Cristo si è fermato a Eboli” descrive lo stesso periodo nel paese in cui era confinato, Aliano in provincia di Matera.
Voglio riportare due episodi significativi che ricordano le brutture del fascismo anche a livello locale.
I fascisti dopo un raduno a Francavilla sul Sinni, incolparono l’addetto all’acquedotto del Caramola, Giuseppe Pangaro, per aver intorbidato l’ acqua durante il loro bivacco. Provenienti dai paesi vicini oltre cinquanta squadristi in camicia nera e armati, ai quali si unirono non pochi fascisti del posto, aggredirono e malmenarono il presunto responsabile. Gli dovevano far ingozzare con la forza un buon litro di olio di ricino, nauseante e potente purgante oggi in disuso. La farmacia di proprietà del dottore don Felice Viceconte era chiusa; intimarono di aprirla. Ma il farmacista insieme ad altri due fratelli, in commendatore Giuseppe Nicola e don Ciccio, medico sanitario, armati di pistola si opposero e respinsero l’attacco costringendo le camice nere a desistere.
Fu un atto di coraggio e di abnegazione in difesa di un impiegato inerme e innocente. Sul tetto c’erano appostati altri amici armati in attesa dell’evolversi degli eventi. Si evitò una strage, per fortuna.
Dopo un po di tempo, una guardia comunale, con moglie e sette figli, a nome Francesco Mele, mentre era in servizio fu assassinato da uno squadrista fascista. Anche in questa circostanza, l’alto senso del dovere e di giustizia, spinse lo stesso comm. Viceconte, avvocato, a sostenere temerariamente la difesa della vittima, dopo che gli altri avvocati per codardia e opportunismo rifiutarono.
L’omicida se la cavò con qualche anno di galera. Questa era la giustizia fascista!
Con la resistenza ci liberammo anche di questi soprusi nei paesi.
Certamente però il nuovo sistema democratico che dura da ormai oltre 70 anni non è stato attuato secondo le aspettative di quanti lottarono e immolarono la loro esistenza e dei padri costituenti per un vero cambiamento nella giustizia e nella libertà. E mi fermo qui.
Antonio Fortunato
dal libro di Antonio De Minco
“Francavilla in Sinni ricordi e considerazioni sulla realtà sociale, economica, politica, culturale, magica, religiosa…”
Il Sabato fascista – il dopolavoro
Il fascismo, come regime politico al potere dal 1922, aveva cercato con tutti i mezzi di forgiare le volontà, coniare gi usi e manipolare i vecchi costumi. L’ideologia imperante permeava tutti gli strati sociali, le istituzioni e le attività. Così come ogni cultura, anche le ideologie fondano le loro strutture sui simboli, le credenze, le convinzioni, i riti, le rappresentazioni e poi con il controllo sociale convincono e dominano e se riscuotono anche consenso, il processo di legittimazione è completo. La bandiera, simbolo base dell’unità nazionale, spinge verso la coesione; l’unione, verso comuni ideali, senso patriottico. Queste mete sono la ratio per la quale si mettono in moto meccanismi di base dell’uomo per sopraffare e tentare di trionfare sugli altri uomini, Stati, nazioni e popoli.
Ebbero notevole sviluppo, sotto quel regime, i simboli più persuasivi, più convincenti apparentemente unificanti: gagliardetti, fasci, divise da balilla, avanguardista, giovani fascisti, fascisti, piccole italiane, campi dux, gerarchi fascisti e tutto quanto poteva e doveva raggiungere un unico scopo: l’esaltazione e l’enfatizzazione dell’ideologia fascista.
Le amministrazioni civiche, le associazioni, le feste religiose e civili tutti dovevano avere l’impronta del regime, perché tutto il regime controllava e tutto doveva trarre linfa da quella ideologia. Fu istituito il “sabato fascista”. Giorno della settimana che interamente doveva essere consacrato all’ideologia. Gli Ebrei, tanti, tantissimi anni prima che avevano inventato la settimana di sette giorni, ponendo in alto l’ultimo, la domenica, a simbolo di festività, di riposo, di meditazione, di ricomposizione delle forze. Il fascismo aveva sentenziato che il sabato fosse un giorno per esaltare la sua ideologia. Gli alunni delle elementari avevano l’obbligo di recarsi in divisa a scuola: pantaloncino grigio-verde, camicia nera, fez nero con bon bon al vento e fazzoletto azzurro al collo. Nel pomeriggio, presso la sede del municipio, tutti coloro che erano prossimi al servizio militare, dovevano frequentare il corso pre-militare. Si costituivano delle squadre di dodici giovani, che al comando di sergenti della M.V.S.N., venivano assoggettati alla disciplina, al dovere, al rispetto verso i superiori.
Memorabile resta l’impegno profuso da un sergente, visceralmente fascista voce stentorea, forte autorità disciplinare, dedicava al comando una ferrea volontà per ottenere il meglio e che, nel far marciare la squadra, era uso a voltare la faccia verso i giovani marcianti, mentre egli era costretto a retromarciare. Avvenne una volta, quello che facilmente si può immaginare. Una pietra sulla sua linea di marcia, ne provocò la caduta. La squadra si bloccò, ne seguì disordine nelle righe. Il sergente, simpaticissima persona, tra l’altro si indignò, rimproverò aspramente tutti i componenti della squadra, facendo rilevare che “una squadra in movimento non deve fermarsi difronte a nessuno ostacolo”. Ridere era il meno che si potesse fare. Noi ragazzi ridemmo di cuore!
Seguivano poi, a giorni prefissati, i saggi ginnici: l’alza bandiera, con tutti i giovani in divisa ed in quell’ampio spazio della “pianura”. La banda musicale si esibiva con gli inni patriottici, “Roma divina, fischia il sasso…”. Ci si può immaginare gli animi dei giovani che subivano qualche processo di influenza.
Il dopolavoro, altra istituzione del regime fascista.
Centro di convegno, di giochi, di “cultura” (una radio che diffondeva sempre cultura e dottrina fascista). Infine vi erano le camere del lavoro. Centro di raccolta di tutti gli uomini che si interessavano di agricoltura.
Di tanto in tanto arrivava un tecnico, forse un laureato in agraria, che spiegava le tecniche migliori per l’agricoltura, la zootecnia.
Veniva, in quel locale, distribuito gratis un giornaletto “la domenica dell’agricoltore” a cura della federazione provinciale.
Una memoria particolare: delle foto di un contadino che, prendendo sulle braccia un vitellino dalla nascita, riusciva a sollevare il bue di qualche quintale da adulto. Il merito era del fascismo “che inculcava sani principi, disciplina fisica che concretizzavano il vero uomo”.
Antonio De Minco