Acrilirico di Gian Maria Turi

Armando Lostaglio

E’ coraggioso l’autore di “Acrilirico” nel suo intento (riuscito) di anteporre e posporre riflessioni che si aggirano nel labirinto della mente, e che talvolta teniamo sottaciute, per pudore, per ignavia, o chissà per cos’altro. Sfida la poesia e la prosa, le nutre di satira e talvolta di dure invettive e sollecitazioni. Sa guardarsi dentro e ci lascia dondolare dal suono di una voce che spesso stenta a farsi sentire dentro di noi.

Si rifà a citazioni colte, parla con gli uomini della storia e della cultura Gian Maria Turi in questo volume breve quanto intenso (90 pagine), dichiarando (in quarta di copertina) che “Acrilirico è un libro inclassificabile. Scomponibile e ricomponibile a piacimento, si aggira tra gli stili letterari, tra il reale e il surreale…” E’ un sublime stordimento. Ed è proprio questa la sua cifra, si impone per temperanza e per aggressività, come il surrealismo. Pertanto, è verosimile (o almeno ci piace credere) che sarebbe piaciuto sceneggiare e portare sullo schermo a Luis Bunuel, o a Marco Ferreri. O addirittura a Guy Debord, il decompositore. Vige una anarchia latente in questo testo; leggere ad esempio “La progenie dell’età dell’oro – invettiva” (pag. 34) è come udire in eco la voce calda e cupa di Carmelo Bene: sarebbe stato straordinario ascoltarlo da un palco.

Gian Maria Turi

Siamo dunque al cospetto di un testo non proprio facile, che non ti prende subito (non ne avrà l’intenzione probabilmente), ma che cospira con l’io dei meandri più reconditi, come uno che “bazzica i sacri recinti” (è una espressione cara a Leonard Cohen) ma che affonda la sua analisi in quelle memorie che fanno parte di una civiltà che talvolta dimentica la sua storia.

D’altra parte, anche l’introduzione – mediante il prologo dal “Metalogicon” del vescovo Giovanni di Salisbury, mentre cita Marziale – lascia intuire che “Acrilirico” non ha alcuna volontà di lanciare moniti, o ambire ad una propria variante didattica. Ma sa farsi valere per quella indomita capacità di raccontare senza raccontare, di comporre e scomporre senza quella rima che faccia rima (necessariamente) con sentimenti e buone intenzioni.

Turi sa discernere il pensiero e ravvisare le nuove tendenze: fa avanguardia, atteso che sia sempre un termine “accettabile”. Sarà nella sua parabola esistenziale il senso della colta ricerca? Nato a Bologna quando la città era fermento di trasformazioni sociali e intellettuali (1969); dopo un peregrinare fra Europa, Medioriente ed Estremoriente, approda ad Atene, origine e culla d’Occidente…

(Acrilirico- di Gian Maria Turi – Manni Editore, pagg. 93, euro 10,00)

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