don Camillo Perrone "Parroco emerito di S. Severino L."
Il 18 gennaio 1919 nasceva il Partito Popolare (PPI), quando da una stanza dell’albergo Santa Chiara, a Roma, veniva diffuso l’appello di Don Luigi Sturzo a tutti gli uomini liberi e forti. La grande guerra si era appena conclusa, l’Italia stava ancora piangendo i suoi circa 650mila caduti, mentre le politiche liberali e conservatrici del Governo avevano colpito il ceto medio e smarrito l’elettorato cattolico ancora condizionato dal non expedit della Chiesa, che impediva l’impegno diretto in politica dei cattolici.
Il 18 gennaio 1919 Don Sturzo offre al Partito Popolare Italiano, che ha contribuito a fondare, un’anima e un orizzonte politico con il suo celebre “appello ai liberi e forti”, in cui – tra l’altro – esalta il ruolo delle Società delle Nazioni, difende libertà religiosa, famiglia, scelta d’insegnamento, sindacati e auspica riforme democratiche come l’ampliamento del suffragio elettorale (compreso il voto alle donne), un maggior decentramento amministrativo, il moltiplicarsi di piccole proprietà rurali preferite al latifondo.
Il colpo d’ala di Don Sturzo, (discorso di Caltagirone, dicembre 1905), è stato il creare un partito laico, democratico e d’ispirazione cristiana con una precisa piattaforma programmatica: difesa della famiglia e libertà di insegnamento, lavoro come diritto e referendum locali, centralità delle autonomia locali e forme di previdenza sociale, rappresentanza proporzionale e voto alle donne, libertà della Chiesa e costruzione della Società della Nazioni per un ordine mondiale.
Ci chiediamo: con quali caratteristiche nacque il Partito Popolare Italiano? Don Sturzo lo volle riformatore, interclassista e aconfessionale, che desse voce a operai e contadini, mettendoli al riparo dalla lusinghe socialiste, che si attivasse a favore dei poveri secondo l’insegnamento del Magistero sociale. Non fondò un “partito cattolico” o conservatore, ma una forza di politici cattolici. Alle elezioni politiche del 1919 il PPI ottenne 100 deputati, il 20% del consenso, ma Sturzo pagò un duro prezzo sull’aconfessionalità del partito.
I più intransigenti lo lasciarono mentre, nell’autunno del 1922, la destra interna del partito appoggiò il primo governo Mussolini: si era presentato come un lupo travestito da agnello e, poco dopo, creò le condizioni politiche per mandare Sturzo in esilio. Erano i tempi bui della dittatura. Don Sturzo paga con un esilio di 22 anni, in Inghilterra prima e negli Usa poi, il non essersi piegato al regime fascista. Rientrato in Italia nel 1946, muore a Roma nel 1959.

Il popolarismo sturziano rimane un efficace antidoto al populismo oggi dilagante: la sua cultura dell’incontro, il suo riformismo coraggioso, la sua concezione di una democrazia sostanziale, pluralistica e solidale sono ancora oggi un valido strumento per superare la grave crisi politica attuale.
L’adesione al PPI è stata per le varie anime del mondo cattolico un’oasi di unità in mezzo al deserto della dispersione. Purtroppo l’avvento del fascismo sfarinò gli entusiasmi iniziali.
Il PPI si divise. Nell’autunno del 1922 il partito mise in minoranza Sturzo e appoggiò il primo Governo Mussolini. Il sacerdote rimase segretario ancora un anno. Nel 1923 si dimise anche su pressione della Santa Sede che temeva una campagna anticlericale in grande stile. Il 25 ottobre 1924, dopo l’omicidio Matteotti, andò in esilio: Londra, Parigi, New York; tornò nel 1946.
Mussolini, in un momento di debolezza del governo e di mancata intesa fra i vari partiti, nel 1922 instaurò il regime fascista. Avvenne così la demolizione delle libertà politiche e di tutte le associazioni e partiti che non fossero il fascismo e si instaurò il regime totalitario.
Esso creò istituzioni proprie per l’educazione della gioventù, associazioni statali per l’organizzazione del lavoro, dell’assistenza, ecc.
Secondo il principio hegeliano che animava il fascismo, lo Stato era tutto e nulla vi era al di sopra ed al di fuori dello Stato.
Il fascismo soppresse il partito popolare di ispirazione cristiana, sparirono i sindacati cattolici, le casse rurali, le banche popolari, le cooperative cattoliche, fu controllata e censurata anche la stampa cattolica. Tutto fu assorbito dallo Stato totalitario.
Quando la tempesta della guerra e della barbarie nazifascista fu superata, le idee di libertà e di giustizia lungamente macerate nella sofferenza ritrovarono il loro posto nel mondo; idee sociali nella mente e nel cuore di Don Sturzo e di De Gasperi.
Alcide De Gasperi fu un uomo evangelico e nel medesimo tempo laico fino in fondo. Non arrossì quando a Parigi comparve come sconfitto dinnanzi agli Alleati radunati per il “diktat”, ma difese la dignità nazionale. Non volle stravincere, quando il 18 aprile 1948 il suo partito ottenne la maggioranza assoluta in Parlamento.
Ma torniamo all’argomento centrale chiedendoci: oggi dell’opera sturziana cosa resta?
Un metodo: formare le coscienze dei cattolici prima di entrare nel campo politico, oltre le contingenze ovvero le scadenze elettorali. Cambia il contesto, non la sostanza.

I cattolici devono tornare a essere fondamento e presidio dell’Italia. Occorre essere sognatori e uomini d’azione, sulla scia del sacerdote di Caltagirone. Occorre trasformare il pensiero e l’atteggiamento dei cattolici italiani verso la vita moderna, verso i problemi sociali e di democrazia. Ecco l’appello di Don Sturzo: “A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”. E’ necessario che i cattolici tornino a impegnarsi con rinnovato vigore. Non possiamo più permetterci l’apartheid.
Quali passi affrontare dunque? Prima di tutto fare cultura, mettendo in condivisione tutte le energie intellettuali che il mondo cattolico sa offrire. Concludendo, l’esempio di Don Sturzo ci esorta alla scelta dell’impegno in politica come dovere di responsabilità di fronte alla propria coscienza, per assolvere al meglio al dovere di cittadini che vogliono partecipare attivamente alla vita pubblica, rivendicando la propria responsabilità personale nelle scelte in campo culturale, politico, sociale ed economico.