Franca Coppola
Nei giorni scorsi, presso il Polo Bibliotecario di Potenza, c’è stato il graditissimo ritorno del professor Paolo Apolito, ospite della nostra associazione “Le Ali di Frida APS” per la presentazione del suo ultimo libro “Tre compari musicanti” edito da Grenelle.
Il prof. Apolito, antropologo italiano tra i massimi studiosi di antropologia religiosa e antropologia simbolica, e già docente di antropologia culturale presso l’Università di Salerno e l’Università di Roma Tre, è spesso venuto nella nostra città, accogliendo gentilmente il nostro invito, per presentare i suoi lavori anche attraverso l’utilizzo di performance teatrali in grado di coinvolgere in maniera straordinaria il pubblico presente.
E per poter raggiungere un pubblico sempre più vasto e in diversi contesti ha creato la figura dell’antropologo a domicilio, cioè l’antropologo che porta là dove viene invitato l’antropologia nutrita di teatro.
Dovremmo tutti noi esprimere un sentito grazie a questa eccezionale figura di studioso per tutta una serie di motivi.
In primis per essersi posto da sempre il problema di appassionare a tematiche spesso non facili, ma assolutamente importanti per comprendere la complessità del mondo in cui viviamo, un pubblico estremamente eterogeneo e diversificato per età, interessi, studi, condizione sociale, ecc.
Attraverso la figura dell’Antropologo a domicilio ha abbattuto le mura difensive del mondo accademico individuando una efficace modalità comunicativa con diversi interlocutori attraverso l’utilizzo di un linguaggio, quale quello teatrale, fortemente in grado di accorciare le distanze, siano esse di tipo culturale, tecnico, sociale o anche politico.
Non a caso ha messo, altresì, a disposizione sulla rete molto materiale del suo personale archivio etnografico e musicale proprio con l’intento di rendere partecipe, testimoniare, emozionare, coinvolgere e far comprendere la ricchezza e la valenza di tanti aspetti di mondi ignorati o snobbati o non conosciuti o misconosciuti sollecitando a vari livelli prese di coscienza, capacità critica e senso di responsabilità.
Un’azione facilitatrice della capacità di orientarsi tra problemi globali ed interconnessi all’interno di un elevato flusso informativo di dati ed informazioni che disorientano e spingono spesso verso atteggiamenti di delega e di rinuncia al proprio senso di responsabilità.
Sollecitare l’attenzione verso la necessità di comprendere l’importanza delle strette relazioni esistenti tra noi e gli altri esseri umani e dell’interdipendenza tra noi e il mondo circostante è fondamentale per attivare un processo tale da garantire il coinvolgimento e la partecipazione attiva e consapevole di ognuno al fine di consentire il fronteggiamento ed il superamento delle sfide attuali.
L’impegno del professore Apolito, portato avanti da tempo in tal senso, si è caratterizzato negli ultimi anni, prima con l’interessante lavoro di ricerca e divulgazione attraverso il libro e il monologo “Ritmi di festa” ed attualmente attraverso lo spettacolo ed il romanzo “Tre compari musicanti”. Tutto questo rappresenta una grossa opportunità che ci offre per superare l’apatia che caratterizza i nostri giorni e per sollecitare l’empatia necessaria per riconoscerci e legarci gli uni agli altri.
L’ultimo lavoro presentato da Apolito ci riguarda molto da vicino perché racconta la nostra storia, la storia delle trasformazioni profonde e radicali che attraversano, tra il XVIII e il XIX secolo, la Basilicata o meglio la Lucania. É la storia della nostra gente, di quel popolo di cafoni e briganti come dispregiativamente definito, di donne e uomini in balia di eventi e signorotti, sempre in bilico tra speranze e delusioni, voglia di riscatto e tradimenti, persecuzioni e ribellione, umiliazioni ed imprese eroiche, fede e magia, lotte e rassegnazione, attaccamento e ribellione…
Apolito racconta tutto questo nel suo libro e nel suo spettacolo attraverso le storie dei protagonisti. Ne viene fuori un racconto epico, entusiasmante, tragico e commovente al tempo stesso che ti prende nel profondo del cuore e che è difficile dimenticare.
Chiaramente la grande competenza dello studioso e le giovanili esperienze teatrali dello stesso hanno giocato un ruolo fondamentale in tutto questo anche se riteniamo questi due aspetti non sufficienti.
Si, perché, oltre a questo, crediamo che un ruolo fondamentale l’abbia avuto la grande sensibilità, non solo dell’antropologo, ma anche e soprattutto dell’uomo, nei confronti della nostra gente e più in generale degli abitanti del sud, di tutti i sud del mondo, di tutte le periferie lontane e dimenticate ma cariche di umanità e di esseri umani in lotta per la vita.
Anche di questo dovremmo ringraziarlo, per essere voce che attraverso il racconto testimonia e conserva la memoria di fatti realmente vissuti anche se riproposti in versione romanzata.
Occorre ringraziarlo perché ci consente di riportare al cuore (è questo il significato della parola ricordare) le piccole storie che hanno consentito la grande Storia.
Occorre ringraziarlo per aver evidenziato e sviluppato attraverso le storie dei protagonisti del racconto, i rapporti familiari, le passioni, le tragedie della Storia e della vita, la fedeltà a se stessi e i tradimenti, l’amore e l’egoismo e soprattutto le responsabilità di ciascuno nei confronti di tutti gli altri.
Lo sguardo dell’autore che vede e descrive tutto quanto oseremmo dire che è uno sguardo d’amore.
Affiora nella sua narrazione la pietas intesa non nell’accezione più abusata di questo termine ma come rispetto per quanti e quanto ci circonda, come attenzione agli altri, a chi ci sta vicino, ai più deboli, come consapevolezza della responsabilità che abbiamo ognuno nei confronti dell’altro.
Elementi fondamentali in una realtà che fa dell’indifferenza, della ragione del più forte, del narcisismo e dell’egoismo una pratica quotidiana mentre invece, mai come oggi, abbiamo tutti bisogno di pietas, di questo sentimento antico e modernissimo che potrebbe consentirci di guardare finalmente e veramente i più deboli, di provare empatia, di indignarci per le ingiustizie sempre più diffuse, per il divario sempre più ampio tra nord e sud del mondo, tra centro e periferie, tra ricchi e poveri…
Sarebbe importante farlo non fosse altro che per un atto di egoismo perché alla fine potremo salvarci solo tutti insieme.
In tutto questo occorre recuperare quel rispetto fondamentale con cui Paolo Apolito guarda la nostra gente e le loro storie, i loro sentimenti, le loro fragilità.
E’ significativo che la presentazione del libro sia coincisa con il centenario della nascita di Rocco Scotellaro, poeta contadino e politico, esponente vero della nuova cultura contadina meridionale come lo definì Carlo Levi, che sognò per la sua gente, da conoscitore profondo delle dinamiche e delle relazioni sociali complesse del Sud Italia, una nuova alba, un nuovo giorno, per poter finalmente entrare da protagonisti nella Storia come racconta con i suoi versi di disarmante e straordinaria potenza.
É fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al focolare.
Vorremmo ringraziare, inoltre, il Prof. Apolito per lo sguardo con cui vede le donne, per la tenerezza, il rispetto, l’ammirazione con cui le racconta e le rende protagoniste indimenticabili.
Donne forti e fragili al tempo stesso, schiavizzate e ribelli, disperate e risolute, disprezzate e desiderate, sacre custodi e spiriti liberi, vittime di persecuzioni, miseria, sfruttamento e prevaricazione da parte degli uomini, madri spose amanti figlie, sorelle, masciare, drude… ma sempre assolutamente e profondamente vere.
Vorremmo ringraziare ancora Apolito perché attraverso il suo narrare ci aiuta a trovare la bellezza là dove la nostra superficialità, abituata a pesare le cose e gli esseri umani un tanto al chilo, non vede altro che miseria ritraendosi disgustata.
Vorremmo ringraziarlo per la solennità con cui, come per esempio fa alla fine del libro, ci presenta la grandezza etica e morale della nostra gente, di quell’umile a cui appartenevano i nostri padri.
Ringraziarlo per la bellezza che ci rivela nei gesti antichi e nobili con cui i protagonisti richiamano i valori e i significati che stanno alla base dell’organizzazione del loro mondo.
Nel nostro rincorrere nuovi modelli e nuove realtà abbiamo dimenticato, ci siamo vergognati, abbiamo cancellato e rimosso e abbiamo ripulito i nostri ricordi da tutto quanto fa parte della nostra storia e nel mentre tanti dei vecchi problemi permangono nella nostra terra e i nostri figli sono ancora costretti a emigrare, i nostri malati a cercare disperate alternative altrove, i nostri lavoratori a sopravvivere e la nostra terra bella e ricca sempre più violentata da nuovi padroni, abbiamo perso gran parte della nostra identità e fierezza e forza morale.
Vorremmo infine ringraziare il professore Apolito che parlando del nostro sud non ha dimenticato i tanti e nuovi sud del mondo.
Raccontando le storie dei più deboli della nostra Storia ha allargato il suo sguardo e non ha dimenticato le tante storie dei tanti che in fuga dalle guerre e dalla fame arrivano ai nostri confini in cerca di libertà, sicurezza, lavoro guidati dalla speranza in un domani migliore anche se, purtroppo, i più fortunati vengono accatastati in centri di smistamento dopo drammatiche esperienze di viaggio tra fame torture pericoli sevizie stupri…
Molti neanche riusciranno a raggiungere le nostre coste e rifiutati dagli uomini saranno accolti dal mare che si fa immensa tomba di tante vite.
Affondano con quegli uomini, quelle donne, quei bambini di cui non sapremo mai né il nome né il numero tutti i loro sogni e le storie che hanno vissuto soffrendo amando lottando sperando… e con tutti questi morti affondano anche le nostre coscienze ipocrite.
E mentre a livello mondiale, giustamente, in quanto ogni essere umano è importante, si piangono e si onorano i pochi morti di un incidente accaduto nelle profondità del mare per un’esaltante e costosissima quanto inutile e discutibile esperienza turistica, non una lacrima viene versata per i tanti morti che si susseguono in quel Mare nostrum che abbiamo posto al centro della “nostra civiltà”.
E mentre ancora nelle alte sfere si continua a discutere su cosa fare per fronteggiare il problema dell’immigrazione, la nostra gente non si è tirata indietro di fronte a tanto scempio e non ha esitato ad accogliere quegli uomini e quelle donne che giungono disperati sulle nostre coste riconoscendo in essi la stessa propria umanità.
No, ancora non è fatto giorno e ancora c’è bisogno di comprendere, di responsabilizzarsi, di incontrarsi, di impegnarsi per un domani nuovo e più giusto in cui i senza nome possano vedere realizzati i loro sogni.
Come dice Apolito, dobbiamo imparare ad avvertire la presenza eterea ma pressante di quanti ieri come oggi hanno attraversato la storia e ne sono stati schiacciati perché ai margini.
Sforzarsi di riportarli in vita anche solo attraverso il ricordo è un modo per non farli morire ogni giorno un po’ di più fino a farli svanire per sempre nell’oblio.
Noi tutti vorremmo che il suono solenne antico e fascinoso della tre palme, la straordinaria zampogna di zio Nunzio, uno dei protagonisti del romanzo, potesse diffondersi sulle onde del Mediterraneo e potesse accompagnare il viaggio verso una nuova terra di queste folle migranti di esseri umani in cerca di un futuro migliore. Nel contempo, vorremmo che lo stesso suono potesse onorare ed accompagnare, nel viaggio verso l’infinito, quanti non ce l’hanno fatta.
A questo punto ci corre l’obbligo di ringraziare quanti hanno contribuito a rendere speciale la serata dedicata alla presentazione del libro:
il dottor Mauro Armando Tita, sociologo di strada, così come ama definirsi, per il suo interessante intervento col quale ha sottolineato la valenza della scuola di Sociologia dell’Università di Salerno che tante figure ha formato e che, attraverso il lavoro di figure prestigiose come Annabella Rossi e Paolo Apolito, sulla scia degli studi di Ernesto De Martino, ha segnato un punto di svolta fondamentale in ambito antropologico per la comprensione dell’“esclusione” delle classi subalterne e per la comprensione del rapporto tra mondo primitivo e mondo contemporaneo all’interno di un approccio politico sociale.
la professoressa Lorenza Colicigno che, con competenza ed emozione ha ripercorso l’intera struttura del romanzo/documento definendo lo stesso “un’epopea dell’umanità colta nella sua dimensione periferica rispetto alla grande storia e alle grandi trasformazioni infrastrutturali, perciò da entrambe queste o travolta e abbandonata ed espulsa in quanto sconfitta, oppure travolta ma poi cooptata e infine affiliata al gioco dei vincenti, oppure sfruttata a vantaggio personale dagli intraprendenti contadini o borghesi”. Toccante il suo approfondimento relativo alle figure femminili tra cui la straordinaria Teresa che “è il metro che ci consente di misurare da un lato la permanenza della difficile condizione della donna oggi, dall’altro la distanza che ci separa dal suo tempo grazie alla avvenuta dichiarazione se non attuazione dei Diritti Umani, senza tuttavia sottovalutare i rischi che ancor oggi comporta per una donna la libertà dai modelli tradizionali e dagli stereotipi.”
il Direttore del Polo bibliotecario dottor Catalani per la disponibilità ed il sostegno a questi eventi.
ed infine un grazie non scontato al Presidente dell’associazione Le Ali di Frida sempre pronto a cogliere e ad accogliere proposte ed ospiti per approfondire temi ed avviare riflessioni sulla realtà intorno a noi.
In conclusione un incontro ricco di contenuti ed emozioni vissute individualmente ma capaci di creare connessione con gli altri, straordinari ponti tra noi e la realtà intorno a noi.
Ci dispiace per chi non era presente poiché si è perso davvero tanto!