Comunità Energetiche in salsa cremonese, Casalasca e Viadanese: territorio e cittadini al servizio del capitale!

Nei consigli comunali di molti Comuni cremonesi, casalaschi e viadanesi in approvazione le Comunità Energetiche Rinnovabili. Ma chiamiamo le cose con il loro nome.

Una disamina condotta insieme a cittadini e consiglieri comunali del territorio che offre spunti di riflessione e ci auguriamo di confronto costruttivo.

📌 LO FANNO PER IL NOSTRO BENE?
Ormai le scelte politiche sono in funzione di incentivi, originati da debito che non si ripaga, perché gli investimenti anziché produttivi sono speculativi.

Le CER, comunità energetiche rinnovabili, nate per finalità virtuose, finiscono per essere realizzate con tutt’altro scopo: aggiungere ricchezza ai grandi impianti, rinnovare gli incentivi a quelli in scadenza (come i biogas), vincolare i bisogni di un territorio in un sistema dipendente dai grandi investitori.

Facendo pure credere che è per il bene dei cittadini e delle comunità!

📌 QUAL E’ L’OBIETTIVO DI UNA CER?
L’obiettivo principale di una CER è quello di fornire benefici ambientali, economici e sociali ai propri membri o soci e alle aree locali in cui opera, attraverso l’autoproduzione e autoconsumo di energia rinnovabili.

Condivisione anche virtuale di energia prodotta dagli impianti di proprietà della comunità o comunque che si trovano nella sua disponibilità, cioè messa a disposizione da terzi.

📌 E PROPRIO SULLA DISPONIBILITA’, LA PRIMA TAGLIOLA .

Le CER nostrane decidono per ora di non usufruire dei contributi a fondo perduto del 40% per dotarsi di propri impianti di energia rinnovabile. Con il contributo gli incentivi sulla condivisione di energia sarebbero inferiori. Delle scelte bisogna pur farle: meglio remunerare con gli incentivi l’energia di impianti di terzi, anziché averli propri!

Biogas ne abbiamo a iosa e centrali a biomasse lo stesso. Entro un paio d’anni la maggior parte di biogas e biomasse raggiungerebbe i fatidici 15 anni di scadenza. Un modo per farli continuare a reddito.

📌 COMUNI E PARROCCHIE DIVENTANO TRADER!
La CER riceve denaro per l’energia immessa nella rete fino alla quantità di tutta l’energia consumata dai membri della comunità. Quindi, se una comunità immette 12.000 kWh nella rete e ne preleva 11.000 kWh dalla rete, riceverà incentivi statali per 11.000 kWh. La CER può vendere i 1.000 kWh restanti al mercato energetico.

Gli incentivi possono essere investiti nella CER o distribuiti tra i membri. In realtà, invece dell’energia, sono quindi gli incentivi che sono condivisi.
E i Comuni e le Parrocchie diventeranno “trader”, veri e propri commercianti cercando di vendere al miglior offerente il surplus prodotto dagli impianti terzi. La funzione istituzionale non è più di moda. I mercanti tutti nel Tempio.

📌 FONDAZIONE COME FORMA GIURUDICA. DIFFERENZE SISTANZIALI CON L’ASSOCIAZIONE.

Le CER nostrane hanno poco di Comunità, nessun percorso partecipato con i cittadini per raccogliere istanze, proposte, anche su come impiegare i contributi e incentivi che per legge sono della Cer e non dei suoi membri.

È stata scelta la forma giuridica della Fondazione e non dell’Associazione. Soggetto giuridico privato e poco trasparente per legge, dopo la Riforma del Terzo Settore.

Per le associazioni l’elemento centrale è la presenza di una pluralità di associati, mentre nelle fondazioni domina il patrimonio. La fondazione non è funzionalmente neutra, essa non può essere ritenuta adatta se si intende assegnare alla CER uno scopo mutualistico, essendo necessario che la stessa persegua uno scopo di pubblica utilità.

E’ richiesto un parere obbligatorio, ma non vincolante, da parte della Corte dei Conti, così come previsto dall’articolo 5 del d.lgs. n 175/2016, come recentemente modificato dall’art. 11, comma 1, lett. a), della legge n. 118 del 2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza). Perché la partecipazione dei Comuni deve produrre valore pubblico.

📌 I PARADOSSI
Non esplicitate ma indispensabile sapere quali sono le regole di conferimento di immobili pubblici: sarebbe un paradosso che i cittadini perdessero la disponibilità di patrimonio e remunerassero gli impianti di terzi! L’ente gestore non è noto.

Le Cer nostrane possono aderire ad altri soggetti giuridici, anche società. Mentre le partecipate pubbliche sono vietate. Le famiglie energeticamente vulnerabili dimenticate.

Ma la finalità prima della CER non era l’energia democraticamente diffusa? Comunità non è partecipazione? Il Comune soddisfa le proprie finalità istituzionali in una siffatta organizzazione?

📌 Transizione 5.0. L’obiettivo delle CER nostrane non è il risparmio energetico né la riduzione dei consumi.

Essere strumento per rendere più profittevoli i grandi impianti è in antitesi con la riduzione dei consumi energetici, quindi con la stessa normativa appena approvata dall’UE, la Transizione 5.0.

La riduscussione del PNRR in Europa perché lontano dal perseguimento obiettivi posti, ha aggiunto la Missione 7. Il DM di attuazione elargisce 6,3 miliardi euro alle imprese attraverso il credito d’imposta per innovazione, formazione e autoconsumo di energia. Sono finanziate solo le energie rinnovabili che producono un risparmio energetico e sono escluse tutte le biomasse. Quindi anche i quasi 200 biogas e biomasse della nostra provincia.

📌 Il requisito dell’autonomia è soddisfatto?

Nelle CER nostrane i soci fondatori decidono tutto, CDA compreso. Fra questi troviamo i Comuni, le case di riposo, le parrocchie, una Cooperativa con funzioni sanitarie, una e unica piccola media impresa.

Il “resto del mondo” può aderire se appartiene alle stesse cabine primarie, fa parte dell’assemblea dei soci che esprime indirizzi non vincolanti e non decide. Neanche sul bilancio.

 

📌 La Direttiva europea, invece, dispone:

Qualsiasi CER deve essere autonoma ai sensi dell’art. 31, primo comma, lett. b) del d.lgs. n. 199/2021 e trova il suo fondamento nel considerando 71 della dir. 2018/2001/UE: «evitare gli abusi e garantire un’ampia partecipazione».

L’autonomia, quindi, svolge la funzione di vietare il controllo interno ed esterno della CER. Tale divieto è rinforzato da una seconda prescrizione contenuta nella medesima direttiva, quella secondo cui la CER è un soggetto che «è effettivamente controllato» dai propri membri.

La CER, dunque, può dirsi autonoma quando è effettivamente controllata dall’insieme dei propri membri e non invece da alcuni di costoro, da un loro gruppo minoritario o da soggetti esterni.

📌 Se si desidera aggiungere valore pubblico i cittadini non possono esserei esclusi dalle decisioni.

Di nuovo scelte sopra la testa dei cittadini.

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