Armando Lostaglio
Un festival, oltre ad indicare talenti ed eccellenze, deve assolvere anche ad un compito importante: offrire un orizzonte del tempo presente, una mappa delle sue tendenze, anche delle sue eventuali distopie, ossessioni. Tempo come un divenire armonico: tutto un contaminare di emergenze artistiche, la nuova scena ama condividere funzioni e competenze…

Mentre l’occhio critico ritaglia inquadrature, si posa su spazi di solito nascosti, svela personaggi pur in secondo piano. Scruta, carpisce, intuisce. Mentre l’obiettivo investe la scena, l’occhio critico adorna, reinventa se è possibile. Un gioco delle parti in scambi di ruolo: ma il Maestro resta tale, il critico ne subisce l’essenza. E il suo sguardo adorna, vivacizza il già visto, con parole misurate e pure. Parole e scene, lo sguardo interiore.
Fra gli incipit più belli della nostra letteratura e del cinema, vedo questo, da Gli indifferenti di Alberto Moravia: “Entrò Carla”. Come dire: il cinema entra a far parte della nostra vita. Si scaraventa con dolcezza ed impeto dentro di noi.
La letteratura che risuona nel profondo, come un canto gregoriano, un’eco antico e contemporaneo.
Il cinema che ci forma in modo plastico, indelebile. E gli attori, gli interpreti, dei sogni ad occhi aperti. Un attore sa essere un fenomeno della natura, l’interprete può essere tutto e il suo contrario. Noi, spettatori, cerchiamo di immedesimarci, percorrendo la effimera linea di confine.