Bruno Fittipaldi
Ha diviso, ha interrogato, ha sofferto. Ma ha anche amato. E oggi, nel silenzio, la sua voce risuona più forte che mai. “Chi dite che io sia?”, chiese un giorno Gesù ai suoi discepoli. Una domanda che attraversa i secoli, che interroga ogni uomo, e che sembra risuonare oggi nel cuore della Chiesa e del mondo davanti alla morte di Papa Francesco. Un Papa discusso, sì. Ma anche un Papa necessario. Un pontefice che ha avuto il coraggio di camminare dove altri esitavano, di parlare quando molti tacevano, di farsi carico non solo della gloria della sua veste bianca, ma anche del fango che spesso il mondo vi getta sopra. Ha incarnato una Chiesa che non ha paura di mostrarsi fragile, una fede che non cerca il potere ma la verità. E in questo cammino, ha raccolto consensi e critiche, ammirazione e ostilità. Ma chi porta la croce non può pretendere solo applausi.

Molti non l’hanno capito. Altri l’hanno giudicato. Alcuni l’hanno persino rifiutato. Ma Papa Francesco ha continuato a tendere la mano ai poveri, agli esclusi, ai lontani. Anche a coloro che lo respingevano. È stato, nel senso più vero del termine, il pastore che non ha mai smesso di cercare la pecora perduta, anche quando il gregge mormorava. La sua forza non è stata nella grandezza dei gesti, ma nella coerenza del cuore. Un cuore spesso provato, ma mai indurito. Un cuore capace di perdonare, di attendere, di amare senza misura. Oggi lo piangono in tanti. Ma forse, nel cielo, è festa. Perché il servo è tornato al suo Signore. E noi, qui sulla terra, possiamo solo raccogliere ciò che ci ha lasciato: una fede che non si impone, ma si propone. Una Chiesa che non domina, ma accompagna. Un uomo che ha scelto la verità, anche quando faceva male. Nel tempo in cui la memoria rischia di svanire nella velocità delle notizie, custodiamo il suo ricordo come si custodisce una fiamma: tremante, ma viva. E soprattutto, vera. Papa Francesco non sarà dimenticato. Perché la verità, anche quando divide, resta più forte di ogni oblio.