Antonio De Minco
Tratto dal libro
“Francavilla in Sinni”
Ricordi e considerazioni sulla realtà sociale, economica, politica, culturale, magica, religiosa…
di Antonio De Minco
pubblichiamo il capitolo “Il Capodanno”
Tra le feste, intesa come espressione del massimo gioire, della ricerca del piacere, della disponibilità verso gli altri, della summa delle vibrazioni dello spirito, indubbiamente c’era il Capodanno.
“Il Capodanno”, principio, inizio, primo giorno di un anno nuovo, colmo di attese e di speranze, conseguenza logica del trascorrere del tempo e connesso a quel voltar pagina, in cui si ripone l’attesa di nuovi e piacevoli momenti e realizzazioni di sogni. I preparativi e la disposizione d’animo avevano, come sempre, inizio con notevole anticipo. Inconsciamente già dal mese di novembre e soprattutto in particolari momenti di depressione, affiorava la mente, come per incanto, tra un mese, tra 20 giorni sarà Natale, Capodanno… e la vita o l’esistenza subiva una corroborazione che dava nuova linfa vitale al decorrere sempre uguale del tempo. Ricordate il “sabato del villaggio” di Leopardi? La festa e tutto il ribollire dell’animo erano nell’attesa, nei sogni, nell’illusioni, nel programma fantasmagorico che non occupano materialmente quel momento. Ma giunto che è, svanisce tutto, sotto l’incalzare degli avvenimenti che avranno luogo nel tempo prossimo futuro. Certo, accade che in quei luoghi, in cui gli spazi delle organizzazioni per il divertimento o la distensione siano carenti, là il giorno della festa o l’attesa di essa sviluppa una maggiore concentrazione ed esplode con maggiore forza interiore. A livello del singolo, la festa costituiva un momento particolare per la sua vita: programmare la confezione di un abito, se le disponibilità lo consentivano; ordinare al calzolaio un paio di scarpe nuove, magari di pelle di capretto, una camicia nuova, un pullover… Cose che indubbiamente eccitavano la fantasia e consentivano al trascorrere del tempo, un ritmo, un corso che potevano esprimere una qualità migliore di vita. Era, nell’occasione del Capodanno, consuetudine disfarsi di qualche oggetto vecchio. All’ora stabilita, da uno strumento convenzionale, chiamato orologio, molte finestre di case, comprese nel piccolo centro urbano, si spalancavano e la proiezione della luce, attraverso quel regolare rettangolo, faceva presagire la imminenza di un’operazione particolare: molti cocci o vecchi arnesi di cucina prendevano letteralmente il largo, proiettandosi sulla strada sottostante, con tonfi vari e frantumi rumoreggianti. In quell’atto, in quella tradizione veniva perpetuata una credenza cieca, sorda ma efficace dal punto di vista dell’immaginario, del mito: tutto l’influsso del male, quello prodotto dai malintenzionati e quello naturale, che sopraggiungeva a seguito di condotte di generazioni precedenti, che avevano infranto le norme divine, attraverso il peccato, venivano esorcizzate, rimosse, private della forza maligna e ricondotte sul sentiero dell’innocuità. Così come formulare un augurio, era tale la forza e l’intima convinzione che ciò si realizzasse. Tutti gli aspetti del magico assorbivano le autentiche energie di quei cittadini, ed in essi riponevano le speranze ed i progetti per un migliore avvenire, per un futuro plasmato.
L’altro aspetto che va evidenziato, da un punto di vista razionale, era costituito dalla aver una certa preveggenza a non percorrere le strade nell’ora di massima esplosione di quel fenomeno cultural-sociale. Il rischio era incombente e qualche testa riportava la conseguente ferito lacero contusa, da tutto quel bailamme di oggetti di terra cotta lanciati senza prevenzione e senza ordine. Il giorno del Capodanno, tutti vestiti a festa e magari raggianti per l’abito nuovo con in cuore la speranza di incrociare lo sguardo di ammirazione di tale aspetto estetico, o quello di una ragazza verso cui si nutriva un particolare sentimento, si girava per le strade e si faceva visita ai parenti, zii e zie. Lo scambio di auguri, tra amici avveniva con il solo scambio a voce; mentre agli zii e parenti più anziani, come ai propri genitori, si baciava la mano. Soprattutto i bambini venivano, per tale particolare augurio, ricambiati con un soldo, due soldi, o quattro soldi (o altrimenti detto nichelino). La mezza lire o la lire venivano donati dai genitori. E’ interessante notare, che, pur tra le molteplici difficoltà di ordine economiche, quasi tutte le festività ma particolarmente il Natale, Capodanno e Pasqua, venivano celebrate con un particolare stato d’animo, che definirei sereno intimamente, e con profonda letizia.