don Francesco Di Marzio
Relazione di don Francesco di Marzio alla presentazione del libro di don Enzo Appella “il governo di sè”: “La sapiente capacità di gestire se stessi e le situazioni: vantaggi e complessità”

E’ importante imparare a relazionarsi con chi ci è accanto, sapendo che proprio con chi ci è accanto – soprattutto nelle relazioni più significative – dobbiamo entrare in sintonia. La relazione implica che io abbia la capacità di entrare in sintonia non con una massa, ma con chi mi è vicino.
Partiamo da una premessa: ogni essere umano nasce come qualcosa di nuovo, qualcosa di mai esistito prima. Provando ad interiorizzare questa premessa, possiamo constatare che non si tratta di un’affermazione banale. Ognuno di noi nasce con la capacità di vincere la vita. La vita è una bella avventura, non una battaglia. Un’avventura che deve essere conquistata, vincendola.
Ognuno ha un suo modo originale di vedere, ascoltare, toccare, gustare e pensare e dunque ognuno – uomo o donna – ha un suo proprio irripetibile potenziale di possibilità e di limiti.
In ciò sta l’unicità di ognuno. Ognuno è unico e ha un suo modo originale di vivere (ascoltare, toccare, gustare e pensare). Ciascuno di noi può essere espressivo, pensante, consapevole, creativo, può essere produttivo. In altri termini, ognuno può essere “SANTO”.
Le parole “santo” e “peccatore” hanno molteplici significati. Qui definiamo “santo” non un individuo che fa miracoli, ma chi è capace di reagire in modo autentico, chi è credibile e quindi degno di fiducia, sensibile, genuino, sia come individuo sia come parte della comunità. Santo è per noi colui che riesce a gestire se stesso e le situazioni nelle quali si trova. Di conseguenza il “peccatore” è colui che non riesce a reagire con autenticità, colui che è incapace di gestire se stesso e le situazioni.
Proprio questo intendeva Martin Buber con l’esempio del rabbino a cui sul letto di morte venne chiesto se era pronto ad andare all’altro mondo. <<Sono pronto, disse il rabbino, perché dopo tutto non mi verrà chiesto: perché non sei stato Mosè?, ma solo: perché non sei stato te stesso?>>.
Ad ognuno è chiesto di essere se stesso. Solo in questo modo saremo santi in quanto capaci di gestire noi stessi e le situazioni in cui ci troviamo.
Il santo ha diverse potenzialità di vittoria. Quando parliamo di vittoria, non ci riferiamo al successo, ma all’autenticità.
Una persona autentica vive la propria realtà conoscendo se stesso, essendo se stesso, diventando sempre più credibile e sensibile. Quanto bisogno abbiamo di sensibilità.
Le persone autentiche – i santi – non dedicano la loro vita a fabbricarsi una propria immagine ideale di se stessi. Quanto tempo sprechiamo a costruire di noi stessi un’immagine ideale da presentare agli altri, pensando che, senza quella maschera, l’altro non mi accetterà mai. L’unica immagine che deve brillare in noi è quella di Dio. Tutti noi, infatti, siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio.
Indossare diverse maschere, a seconda delle situazioni che viviamo, è un rischio. Alla fine potremmo non sapere chi siamo.
I santi sono semplicemente se stessi e appunto per questo, non sprecano energia né a recitare una parte, né a simulare, né a manipolare gli altri. Sono invece in grado di farsi conoscere per quello che realmente sono, anziché proiettare immagini che piacciono, provochino o seducano. Non sentono il bisogno di nascondersi dietro una maschera e si liberano da ogni immagine non realistica di sé, così di inferiorità come di superiorità.
I santi imparano anche a conoscere i propri limiti e i propri sentimenti e a non averne paura. Quante volte non chiediamo conforto o aiuto perché abbiamo paura delle nostre sensazioni, rinunciando alla possibilità di entrare in relazione con l’altro.
I santi non si lasciano arrestare dalle proprie contraddizioni e ambivalenze. Tutti abbiamo sperimentato, almeno una volta nella vita, ambivalenze e contraddizioni.
Sebbene si “nasca per diventare santi”, si nasce anche indifesi e totalmente dipendenti dall’ambiente. I santi riescono a passare dalla totale impotenza, all’indipendenza e quindi alla interdipendenza.
I peccatori non riescono a fare nulla di tutto ciò. Essi, ad un certo momento, cominciano ad evitare di assumersi le proprie responsabilità. Un peccatore vive raramente nel presente, piuttosto lo distrugge concentrandosi sul passato o su aspettative future.
Vivendo nel passato, indugia sui bei tempi andati o sui suoi guai trascorsi; si aggrappa comunque sempre nostalgicamente alle cose come erano allora. Il peccatore si lamenta per la cattiva sorte, si compiange e butta sugli altri la responsabilità della sua vita insoddisfatta. Biasimare gli altri e assolvere se stessi sono due cose che fanno spesso parte dei giochi dei peccatori.
La recriminazione del peccatore che vive nel passato è il “se soltanto…”: “se soltanto avessi sposato qualcun altro…”, “se soltanto facessi un lavoro diverso…”, “se soltanto fossi stata più bella/o…” ecc.
Chi vive nel futuro sogna il miracolo che gli consenta di vivere felice e contento per sempre. Anziché vivere la propria vita, aspetta che la salvezza arrivi per magia: “come sarà bello quando…”, “quando arriverà il principe azzurro…”, “quando avrò finito gli studi…”, “quando i figli saranno cresciuti…”, “quando verrà il mio momento…”.
Abbiamo dunque da una parte chi vive nell’illusione di una salvezza magica, dall’altra chi vive costantemente nel timore di una futura catastrofe.
Chi continua a concentrarsi sul futuro, vive il presente in continua ansia. È ansioso per cose che egli stesso anticipa, reali o immaginarie: impegni, conti da pagare, rapporti amorosi.
Troppo preso dalla immaginazione, si lascia sfuggire il presente e le sue possibilità reali, perché la mente è occupata da cose che non hanno rapporto con l’oggi.
Per un peccatore è difficile sia dare che ricevere affetto e quindi impegnarsi in rapporti intimi, onesti e aperti con gli altri.
Da una parte cerca infatti di manipolarli in modo che soddisfino le sue aspettative; dall’altra dirige spesso le sue energie a soddisfare le attese altrui.
Gran parte del loro potenziale rimane quindi assopito, non realizzato, non riconosciuto.
Come il “principe ranocchio” della favola, sono legati da un incantesimo e la loro vita è quella che poteva essere.
La capacità di essere se stessi, in conclusione, consiste nel riconoscere quali sono le proprie risorse. Per riconoscere le proprie risorse è necessario sapersi ascoltare, comprendendo anche i propri limiti. La capacità di essere se stessi implica il sapersi
collocare nel presente, nel qui e ora, senza vincolarsi al passato o attendere una salvezza magica. Il passato non può più essere modificato. Ciò che si può fare è correggere qualche aspetto che arriva dal passato. Per questa operazione è necessario però assumersi le proprie responsabilità.
Chiediamo dunque al Signore che ci doni lo spirito di discernimento perché davanti a noi ci sono sempre due strade, la via del bene e quella del male, la vita e la morte.
La via del bene, la via della vita, consiste nell’essere “santo” e “santo” è colui il quale è capace di gestire se stesso.