Antonio Fortunato and Antonio De Minco
…”Don Cosimino stava dietro il suo sportello, alla Posta, tutto avvolto in una tunica di tela nera“…
…”Ogni tanto si sentiva il ticchettio del telegrafo, e poi la testa di don Cosimino si affacciava allo sportello, con un sorriso raggiante“… Così Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato a Eboli” descrive un aspetto del paese che lo ospitava, Aliano (Matera). Per comunicare in quel periodo c’era solamente l’Ufficio Postale sia per la corrispondenza che per i telegrammi. La stessa descrizione la fa il nostro A. De Minco nei suoi ricordi degli anni ’30-’40.
Certamente i giovani di oggi non hanno mai visto o sentito il ticchettio del telegrafo, se non in qualche film. Io ricordo benissimo l’Ufficio Postale degli anni ’50 quando non eravamo nell’epoca del telefono, dei telefonini, internet, email, posta certificata, social network, ecc. Si entrava nell’Ufficio che era allocato nei locali di Torino Costanza nella famosa “Variante” e si sentiva il ticchettio del telegrafo su cui camminavano le notizie più importanti, buone o cattive che fossero. Oggi le Poste, nell’immaginario collettivo, pur svolgendo tante funzioni sia nel campo della comunicazione che in quello finanziario, non hanno la centralità e la rilevanza che rivestivano nel periodo descritto da De Minco. Mi dispiace dirlo, l’Ufficio Postale viene ritenuto per antonomasia il luogo dove si pagano le pensioni.
Antonio Fortunato
L’attesa davanti all’Ufficio Postale
“La speranza è sempre l’ultima dea a morire”.
Nutrire sempre una speranza!
Sono luoghi comuni, espressioni che nascono dall’intimo dell’uomo. Quante cose vorremmo realizzare nella vita, ma … i limiti sono immensi ed i mezzi molto contenuti. Allora, si spera, si sogna… . Nei momenti di ozio (e quanti erano questi momenti!), nel rilassamento generale, in quelle strutture sociali che vivono alla giornata, senza dare contributi di alcun genere, senza inventiva, ma cogliendo il minimo essenziale dell’esistenza soltanto, accade o può accadere che la volontà si atrofizza e le caratteristiche umane assumono quelle dell’uomo vicino alla proto società. Gli impegni quotidiani dei concittadini assumevano atteggiamenti e ritmi ripetitivi, quel tran tran che era l’effetto di una causa misteriosa a cui nessuno si sottraeva, perché mancava l’immaginazione, la creatività e la volontà di andare oltre. Tutti eravamo in attesa di qualche cosa. Il giovane di una novità che lo espellesse da quella realtà; il vecchio di una notizia, magari di un ricco parente d’America che lo nominasse erede e, magari ancora unico, di un immenso patrimonio.
Centro di realizzazione di tali speranze e sogni, era costituito dall’ufficio postale. Quotidianamente, perciò, ci si recava presso quell’ufficio, in attesa dell’arrivo del “postalino” e poi dello smistamento della posta in arrivo, da parte dei portalettere. Le notizie attinenti alla vita sociale nazionale ed internazionale, riportate sui giornali, arrivavano con un giorno di ritardo: i giornali, trasportati da autobus e somarello, era gioco forza che arrivassero con un giorno di ritardo. Poche copie di giornali venivano venduti; scarsi erano i mezzi, altrettanta scarsa la propensione alla lettura. Anche la radio, strumento di diffusione di notizie, era oggetto di scarsissima possessione e, perciò, le notizie circolavano di bocca in bocca, con scarsa inclinazione a riceverle e più lenta capacità nella diffusione. Perciò, per ampia disponibilità di tempo e scarsa possibilità di moneta, il pomeriggio di tutti i giorni, all’infuori di quelli festivi, ci si recava davanti all’ufficio postale. Era un rituale di sacra paesana: quasi tutti ne subivano un certo fascino ed interiormente, una certa necessità: tutti agognavano qualcosa che mai arrivava.
Era, il paese, in un certo senso isolato.
Non esisteva centralino pubblico telefonico; né famiglie private che ne disponessero.
Il mezzo più celere, per comunicazioni di un certo rilievo, era rappresentato dal telegrafo, presso le poste e che, logicamente, funzionava soltanto nei giorni feriali, e di giorno.
Il telegramma, che rivestendo carattere di eccezionalità, veniva spedito o ricevuto per annunci di notizie importanti, ma più spesso ferali, aveva creato la “sindrome da telegramma”.
Quell’attesa pertanto, davanti all’ufficio postale, rivestiva un momento di grande rilevanza, di diversivo e di attesa, che consentiva quel trascorrere del tempo, senza la minima partecipazione dell’uomo alla costruzione di qualcosa di bello, di utile che potesse essere il futuro di un tempo manipolato e perciò, diverso dall’usuale.
Antonio De Minco
mio nonno Prospero Ciminelli fu il primo a portare la posta in questo paese ,andava col mulo per le campagne ,non esisteva neppure un vero ufficio postale ma esisteva la volonta’ di portare comunicazione ,poi continuo’ mio padre