Chiesa – ospedale da campo e laici del 118

 

don Camillo Perrone

Era il settembre 2013 quando Papa Francesco ci parlò per la prima volta di Chiesa come “ospedale da campo”, espressione più volte ripresa dal Pontefice e sempre meglio esplicitata nell’arco del suo ministero, in particolare con la valorizzazione del tema della misericordia: io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia.

Questa visione della Chiesa non è paragonabile alla Croce Rossa, che è una istituzione funzionale alla guerra, che trova in essa la sua ragione di esistere (premesso che la guerra è inevitabile, curiamo le ferite per ristabilire i soldati al loro operato). L’amore cristiano non deve essere crocerossino della storia ma deve strutturare la storia, deve essere “ospedale da campo” per portare vita dove c’è morte, speranza dove domina il non senso e il dubbio esistenziale, deve costruire pace e giustizia, insomma seminare nella storia il Regno di Dio. L’affermazione del Papa è indubbiamente molto realistica, amara nella sua triste verità ma proprio perché vera esprime in modo urgente cosa siamo chiamati ad essere e a fare come Chiesa oggi.

In un mondo che è organizzato per creare nuovo dolore, nuove guerre, nuova morte, attraverso disoccupazione, la fame, le malattie, le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, la Chiesa in questo contesto di morte, è chiamata ad essere donna, madre, mariana nel vero senso della parola, paràclito che consola e si prende cura di chi fa fatica a camminare e a sentire tutta la dignità del suo essere uomo.

Orbene sulle orme di Papa Francesco e in ossequio al programma “alla scuola della caritàil Vescovo, Mons. Vincenzo Orofino e la pastorale giovanile di Tursi-Lagonegro, hanno proposto ai giovani della Diocesi delle esperienze di carità e servizio in alcune località, con un impegno che ha chiamato recentemente i giovani (16-30 anni) ad accompagnarsi a chi abitualmente è sul fronte dei senza fissa dimora, dei minori da assistere o delle mense di carità.

“Un modo bello per iniziare il nuovo anno, alla scuola della carità. Come Diocesi, afferma Orofino, offriamo ai giovani una proposta completa, che nell’arco dell’anno va dalla gita e la celebrazione di inizio anno scolastico alla vacanza estiva. Sono 56 gli iscritti”.

Diciamo allora che ogni comunità ecclesiale deve essere nel mondo segno credibile della misericordia di Dio. L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia (Mv,10), dice il Papa e dovunque vi siano cristiani (parrocchie, comunità, associazioni e movimenti), chiunque deve poter trovare un ambiente familiare capace di comunione e di misericordia.

Proprio per questo i cristiani devono aprire il loro cuore a poveri e sofferenti e a quanti vivono in disparte, nelle periferie esistenziali del mondo, privati della loro dignità e carichi di ferite che hanno bisogno di essere curate.

Dopo il Giubileo, urge una Chiesa in uscita ancora più consapevole della propria missione e del proprio ruolo in una società sempre più disorientata. Non esiste quasi più un angolo di quiete al mondo e la Chiesa non può stare a guardare, né può rassegnarsi o prendere le distanze da ciò che non scorre nel suo verso. Per non essere totalmente e pienamente nel mondo, avvertirne il respiro, condividerne ansie e speranze, conoscere fino in fondo anche i suoi meccanismi.

È questa anche la strada per farsi più vicino a ogni uomo ed entrare nella sua vita concreta. Maestra di umanità, nondimeno la Chiesa si sente chiamata, sotto questo aspetto, ad un “tirocinio” senza fine.

Il campo di lavoro è sempre più vasto, drammi antichi in forme nuove, come la “guerra a pezzi”, che continua a tormentare interi Paesi o le trasmigrazioni di popoli che lasciano dietro insopportabili scie di sangue, si alternano all’angoscia procurata da eventi naturali, di per sé imprevedibili, ma solo nella loro sequenza temporale.

Il terremoto è ritornato infatti ad angustiare il futuro di una larga parte del Paese, colpito nel suo cuore antico, da una serie infinite di scosse. Tutto il Centro Italia è sconvolto da un sisma tra i più rovinosi degli ultimi decenni. Nel Centro Italia si registrano ora emergenze su emergenze.

Vere bufere di neve, addirittura muraglie di circa due metri di neve. Gente stremata, rigori invernali con molte criticità. Diciamo subito che ogni indifferenza per noi scampati da queste tragedie è delitto imperdonabile. Urge una Chiesa coraggiosa, una Chiesa che non si arrocchi in strutture spesso ridotte a musei, con partecipanti pigri e indolenti. Al contrario occorrono laici del 118 sempre pronti a correre in pronto soccorso di tutti quei fratelli, cristiani e non, che nel mondo di oggi incappano nei briganti di turno: bambini e anziani, immigrati e cittadini dai diritti elementari puntualmente calpestati da un sistema economico e sociale inceppato; ma soprattutto al presente occorrono laici attenti ai problemi di un territorio che reclama ingenti aiuti materiali, morali e tanta speranza, laici convinti della dimensione sociale della carità.

Evidentemente e nella fattispecie le nostre parrocchie sono invitate a costruire un giusto rapporto di collaborazione con le istituzioni locali nel rispetto reciproco delle autonomie con l’esclusione di ogni interferenza, ma con il desiderio chiaro di una proficua collaborazione a vantaggio dello stesso uomo che si serve, sia esso chiamato cittadino o fedele.

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