don Camillo Perrone "Parroco emerito di S. Severino L."
Tra i tanti problemi che attanagliano oggi il Paese, un posto preminente è occupato dalla dilagante disoccupazione giovanile, con particolare riguardo a quella intellettuale.
E’ un aspetto inquietante della nostra società, per i riflessi sociali e politici che esso pone, nel quadro della crisi economica che stiamo attraversando, proprio nel momento in cui sono in pericolo anche i posti stabili. Il mercato del lavoro chiude il 2016 senza abbrivio e mostra anzi qualche segnale di frenata, soprattutto tra i più giovani. Il dato più negativo riguarda infatti la disoccupazione under 25 anni, che a dicembre aumenta e supera di nuovo quota 40% : nell’Eurozona solo la Spagna fa peggio. Sono i giovani i nuovi poveri.
Un milione di ragazzi sotto i 35 anni sono disoccupati. Altri passano a vita saltando da un lavoro saltuario all’altro, spesso senza tutele. A questi dobbiamo aggiungere due milioni di Neet, coloro che non cercano un impiego né studiano. Secondo gli ultimi dati del Censis, le nuove generazioni sono più povere dei loro padri, mediamente hanno un reddito inferiore del 15 per cento al resto della popolazione e del 26 per cento rispetto a quello che avevano nel 1991 i loro coetanei. Sono i giovani i nuovi proletari senza prole del Paese.
Pertanto la Chiesa pone l’attenzione su di loro e non smette di gridare allo “scandalo” di questo fenomeno, che in Italia sfiora il 40 per cento ma in alcune zone del Sud arriva al 70. “Ho l’impressione che sulla disoccupazione giovanile”,ha sottolineato monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, “manchino idee forti sia da parte della classe politica che della società civile. Mi sembra che parlare di disoccupazione stia diventando una sorta di triste sport nazionale”.
Timidi segnali di ripresa, stagnano i ritmi produttivi nelle imprese. Traduzione: non c’è lavoro. Non circola denaro. Non si assume. Succede così che la Repubblica fondata sul lavoro torni a impoverirsi, come accadde a ondate nel Novecento fino agli anni Sessanta, con bracci, intelligenze, cervelli che fanno le valigie e cercano altrove ciò che qui non trovano. Si spendono capitali per la formazione e poi facciamo la fortuna degli “altri”, in Europa, in America, in ogni parte del mondo, dove il genio, la creatività, lo spirito imprenditoriale, in una parola la voglia di lavorare degli italiani brilla e i nostri connazionali si fanno apprezzare. Se il lavoro manca o presenta caratteristiche di perenne instabilità diventa impossibile coltivare rapporti sociali stabili, pensare di farsi una casa –che è sempre stata nel tempo segno di sé- metter su famiglia, avere figli.
Da cui, le adolescenze prolungate, la permanenza dei figli in famiglia fino a 40 anni, la natalità in caduta libera.
L’orizzonte temporale della persona, e in definitiva dello stesso paese, si contrae come una sorta di adeguamento alla brevità e discontinuità o addirittura irreperibilità di un qualsiasi lavoro. Abbiamo figli del “forse”, del “vedremo”, dalle personalità che diventano sempre più fragili e si auto confinano in un limbo, rinunciando anche a completare gli studi e a cercare lavoro.
Per la cronaca oltre cento vescovi di Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna si ritrovano in questi giorni a Napoli per discutere di “ Chiesa e lavoro” con particolare attenzione su “quale futuro per i giovani del Sud”.
L’obiettivo è quello di proporre un’ alleanza Chiesa-Istituzioni per indicare la strada da percorrere per avere soluzioni concrete che diano ai giovani un segno di speranza.

A questo convegno per il riscatto del sud partecipano il Card. Bagnasco, il Vescovo Galantino della CEI nonché il Ministro per il Mezzogiorno De Vincenti, che assicura l’impegno del Governo. Anche Papa Francesco ha fatto giungere una sua lettera accorata. Dalla Basilicata partecipano tutte e sei le Diocesi, con il Vescovo un suo delegato, direttore della pastorale del lavoro ed un giovane di ogni singola Diocesi.
Per la Chiesa e per i credenti la lotta alla disoccupazione giovanile, alla mancanza di adeguate tutele, alle forti diseguaglianze è una vera e propria missione.
Viene spontaneo riallacciarsi alle parole di papa Francesco dette nell’udienza del dicembre 2015 ai sostenitori del Progetto Policoro della Cei per i giovani disoccupati del Mezzogiorno:
“Il lavoro non è un dono gentilmente concesso a pochi raccomandati : è un diritto per tutti”.
Come insegna la dottrina sociale della Chiesa, il lavoro è un tratto distintivo della persona e non un accessorio, perché contribuisce a maturare la sua identità. Ecco perché la sua perdita e la sua mancanza vanno considerate un dramma. La precarietà lavorativa a cui sono costretti i nostri giovani è una precarietà ingiusta, che ferisce mortalmente l’anima di tanti ragazzi italiani. Per questo l’intero Paese, attraverso un nuovo patto sociale tra generazioni, deve impegnarsi per far ritrovare loro il proprio futuro. Un futuro che coincide con il futuro stesso del Paese.
Sono pienamente d’accordo su quanto esprime l’emerito Don Camillo. In particolare ha attratto la mia attenzione il suo scrivere : “Per la Chiesa e per i credenti la lotta alla disoccupazione giovanile, alla mancanza di adeguate tutele, alle forti diseguaglianze è una vera e propria missione.”
Mi sia concessa fare un’osservazione che non ha intenzione di puntare il dito contro alcuno: la Chiesa avrebbe dovuto già farlo da tempo, insieme con i politici e con quanti avrebbero potuto, singolarmente o in collettivo, dare stimoli essenziali o solo suggerimenti validi.
Aggiungo che tutti i finanziamenti dovrebbero essere ben programmati e distribuiti, ma nel loro percorso monitorati con trasparenza assoluta resa pubblica.
Mi piacerebbe sentire poi, soprattutto da parte delle Istituzioni e di Enti pubblici vari, la parola INOCCUPATI che nessuno si azzarda a scrivere o a pronunciare, quasi fosse un reato.
Il peccato di vedere i giovani, o buona parte di essi, disinteressati o apparentemente apatici, coinvolge in gradualità diversa tutti.